Secondo la BBC in Inghilterra ancora nessuno era stato condannato da quando oltre trent’anni fa questa pratica è stata dichiarata illegale in tutto il Regno Unito. Un solo episodio di mutilazione era stato portato a processo precedentemente a questo seguito da condanna, ma entrambi gli imputati coinvolti erano stati assolti. Era l’anno 2015. Le mutilazioni genitali consistono nella rimozione, totale o parziale, della clitoride; la pratica più diffusa è l’infibulazione, che prevede l’asportazione della clitoride e la cauterizzazione della vulva, cui viene lasciato un piccolo foro per la fuoriuscita dell’urina. Si tratta di veri e propri abusi, di cui spesso sono vittime bambine e ragazze, che interessano soprattutto vaste aree dell’Africa sub-sahariana. Le motivazioni che spingono a questi disumani atti di violenza di genere sono prettamente tribali e religiose, sostenute dall’idea che una donna non debba e non possa provare piacere durante un rapporto sessuale; per non parlare dei rischi per la salute di coloro che le subiscono (dalle emorragie alle infezioni ai traumi psichici). L’Unicef stima che siano almeno 200 milioni nel mondo le donne e ragazze che sono state sottoposte a mutilazioni genitali femminili (MGF) e la previsione, se non si pone fine a questa aberrazione, è che altre decine di milioni di ragazze (una stima approssimativa di 68 milioni) subiranno la stessa sorte entro il 2030, con conseguenze fisiche, psicologiche e sociali di lungo periodo. Esse violano i diritti delle donne alla salute sessuale e riproduttiva, all’integrità fisica, alla non discriminazione e alla libertà da trattamenti crudeli e umilianti. Le mutilazioni genitali femminili rappresentano inoltre una violazione dell’etica medica: non sono mai sicure, non importa chi sia a praticarle e quanto sia pulito il luogo in cui vengono effettuate. Oltre 20 milioni di donne e ragazze in 7 Stati (Egitto, Sudan, Guinea, Gibuti, Kenia, Yemen e Nigeria) sono state sottoposte a questa pratica per mano di un operatore sanitario. Medicalizzare le MGF non significa renderle più sicure, perché si tratta sempre della rimozione o del danneggiamento di tessuti sani e normali, interferendo con le funzioni naturali del corpo di una bambina, di una ragazza o di una donna. Nella Giornata Internazionale della Tolleranza Zero contro le MGF, celebrata il 6 febbraio scorso, Unicef-Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) e UN-Women hanno ribadito il loro impegno congiunto per un programma che finora ha prodotto risultati ragguardevoli: dal 2014 al 2017 il numero di MGF praticate su adolescenti tra i 15 e i 19 anni di età è diminuito in 10 dei 17 Stati sostenuti dal programma dal 2008 al 2017, oltre 34,6 milioni di adulti in 21.000 comunità hanno dichiarato pubblicamente di rigettare le MGF tra il 2014 e il 2017 circa 3,3 milioni di donne e ragazze hanno avuto accesso a servizi di protezione, prevenzione e cura dalle MGF in 16 Stati (Burkina Faso, Djibouti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Gambia, Guinea, Guinea Bissau, Kenya, Mali, Mauritania, Nigeria, Senegal, Somalia, Sudan e Uganda). 13 Paesi (Burkina Faso, Djibouti, Egitto, Eritrea, Etiopia, Gambia, Guinea, Guinea Bissau, Kenya, Mauritania, Nigeria, Senegal e Uganda) degli 17 che beneficiano del programma hanno varato leggi che vietano le MGF. Normative nazionali analoghe sono imminenti in altri 3 Stati. A.B.