L’Italia ha “la credibilità per essere leader di una nuova stagione comunitaria”. È chiara la visione del futuro per il presidente dei Confindustria, Giorgio Squinzi, che, dal palco dell’Expo di Milano, ha aperto l’assemblea annuale degli industriali. Uno palco inusuale, quello meneghino, ma scelto per sottolineare che “nell’esposizione universale abbiamo creduto fin dall’inizio” perché “qui si respirano l’entusiasmo e l’effervescenza che serve all’Italia per lasciarsi alle spalle una lunga fase negativa” e che rappresenta “il simbolo più bello di una nuova stagione e i milioni dei visitatori stranieri che stanno arrivando ci danno nuova fiducia”.
“Ci sono segni di risveglio – ha illustrato Squinzi – accenni di crescita, riforme in corso, giovani che vogliono credere nel loro futuro in Italia, imprenditori impegnati a partecipare alla democrazia e allo sviluppo del nostro mondo” tuttavia “i germogli del cambiamento che si vedono vanno protetti e difesi, aiutati a crescere da un sistema associativo saldo nei valori”.
E proprio in questo contesto di ripresa, l’industria italiana si sta “attrezzando per affrontare un cambiamento profondo”, perché è consapevole del fatto che “devono applicare la regola aurea che per l’impresa vale sempre, innovare di più, capitalizzare, fare più formazione, lanciare nuovi investimenti sul prodotto”.
Le Pmi invece meritano “una riflessione attenta” e “un abito su misura” che sia “adatto alla gara che devono correre, fatto di credito e finanza, di ulteriore sostegno sui mercati esteri, di ricerca e innovazione con un fondo speciale a loro dedicato, di formazione a tutti i livelli” da “strutturare con i nostri fondi bilaterali”.
Nulla da chiedere o di cui lamentarsi con il Governo, se non di “non smarrire la determinazione perché questa è la condizione necessaria, indispensabile, per cambiare il Paese”. Le riforme avviate e alcune misure di politica economica adottate testimoniano il lavoro del Governo e di Confindustria, come ad esempio, “i 40 miliardi di soldi nostri, che la pubblica amministrazione ci ha finalmente pagato, anche se il meccanismo non è certo a regime, 5,6 miliardi di riduzione dell’Irap, 2,6 miliardi di abbattimento degli oneri sociali nel 2015, la moratoria sui debiti bancari che da sola vale una finanziaria”. Questo anche se, “ogni tanto”, in qualche provvedimento di palazzo Chigi spunta una “manina anti-impresa” figlia di “una cultura anti-industriale ben radicata nelle migliaia di norme che si sono stratificate negli anni e che rendono dura la vita dell’imprenditore che ha avuto un certo successo”. E quindi se jobs act e decreto Poletti, che “ci allineano ai nostri competitor europei in materia di lavoro” e sono passi avanti importanti per il Paese, battere questa cultura che non favorisce la crescita “è la riforma più difficile che dobbiamo realizzare”.
Il numero uno di viale dell’Astronomia ha tuttavia chiesto un fisco diverso e, anche se la delega fiscale va in questa direzione, avverte che se ”la pressione fiscale dovesse restare a livelli intollerabili per cittadini e imprese” diventa “il vero ostacolo a nuovi investimenti e alla crescita duratura”.
Un passaggio, poi, è stato riservato al welfare e al sistema pensionistico, temi sui quali è necessario avviare “un approfondimento complessivo: sugli ammortizzatori sociali e sulla bilateralità, sulle politiche attive, sui servizi del lavoro e una formazione adeguata alle evoluzioni dei mercati” tenendo conto quali siano gli orientamenti del governo in tema di previdenza “per gestire più responsabilmente il tema dell’invecchiamento attivo”.
Quindi un riferimento alle politiche rigide dell’Europa, fatta di “rigorismo eccessivo” alle quali “ci siamo aggrappati con poca lungimiranza”.
“Da europeista convinto lo dico con grande rammarico, quella di oggi non e’ l’Europa che mi piace – ha spiegato – Siamo diventati il continente della bassa crescita, ci siamo dimenticati dei valori reali”. La sfida è “tutta diversa, tutta politica e civile” e dovrebbe puntare a “un progetto politico e una visione comune” senza il quale l’UE “non riuscirà a rispondere ai bisogni complessi dei cittadini e delle imprese”.
“A oggi la sola istituzione che agisce davvero per l’integrità e il rilancio dell’economia è la Bce guidata da Mario Draghi” ma, beninteso, “non può sostituirsi all’Unione degli Stati”. Serve quindi una visione più ampia, non limitata al mero equilibrio finanziario, ma più flessibile e connessa alle esigenze delle persone. E proprio da questo punto di vista Squinzi ha affrontato il tema Grecia, crisi affrontata con poca lungimiranza e che rappresenta “il paradigma perfetto dei nostri limiti”. “Solo adesso si comprende che la sfida è diversa” non fatta solo di rispetto dei conti economici ma “è tutta politica e civile”. Tanto che l’uscita di Atene dall’Euro non aiuterebbe la timida ripartenza dell’economia Italiana.
“L’invecchiamento della popolazione, il cambiamento climatico, le problematiche ambientali, le migrazioni, l’urbanizzazione e la mobilità crescenti, la sicurezza delle persone, delle merci e dei dati, plasmeranno un nuovo mondo e nuovi bisogni” poiché, ha concluso citando Papa Francesco, stiamo vivendo “non tanto un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento d’epoca”.
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