Gli svizzeri del Canton Ticino, i più prossimi al confine italiano, hanno votato a larga maggioranza l’iniziativa “Prima i nostri”, promossa dal partito della destra nazionalista Udc con il sostegno della Lega dei Ticinesi per chiedere l’introduzione della “preferenza indigena” per i lavoratori rispetto a quelli provenienti da oltreconfine. Il referendum ha ottenuto il 58% di sì, contro il 39,7% di no. Ciò comporterà un limite alla migrazione dei nostri lavoratori frontalieri – al momento sono circa 62 mila – che ogni giorno si spostano oltre confine per portare a casa uno stipendio. E fanno anche di più: accettano condizioni di pagamento inferiori rispetto al salario percepito dagli ‘indigeni’. Motivo, questo, alla base dell’altro quesito posto nello stesso referendum, contro “il dumping salariale” in Ticino, che ha ottenuto il 52,4% di no ed è stato approvato invece il controprogetto, con il 55% di voti positivi.
I promotori del referendum ‘Prima i nostri’ chiedono una modifica della Costituzione svizzera, con l’obbligo per i datori di lavoro di dare la precedenza agli svizzeri o agli stranieri domiciliati in Svizzera. Come recita il sito dei promotori del referendum, l’iniziativa “dà al Consiglio di Stato il preciso mandato di mettere in atto tutte le misure concrete per respingere la pressione al ribasso sui salari, evitare la sostituzione sistematica dei lavoratori residenti e assicurare che i ticinesi abbiano la precedenza nel mercato del lavoro”. “Prima i nostri”, viene precisato, “necessiterà di una legge di applicazione che verrà votata dal Gran consiglio”, ma la decisione finale appartiene al Consiglio Federale e al Parlamento di Berna.
Il risultato del referendum di ieri in Ticino “non renderà più facili i negoziati” già in corso tra l’Unione europea e la Svizzera per affrontare le conseguenze del referendum nazionale che due anni fa ha chiesto di porre limiti all’ingresso di lavoratori europei. Lo afferma il portavoce della Commissione europea, Margaritis Schinas, ricordando che “il presidente Jean Claude Juncker ha più volte chiarito che le quattro libertà fondamentali del mercato unico sono inseparabili, cosa che nel contesto svizzero significa che la libertà di circolazione dei lavoratori è fondamentale”.
L’esito del referendum ha suscitato molta preoccupazione in territorio italiano, a partire dal il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che ha scritto in un tweet: “Referendum anti-frontalieri non ha per ora effetti pratici. Ma senza libera circolazione delle persone rapporti Svizzera-Ue a rischio”. Il presidente della Regione Lombardia, la più interessata all’esito del referendum oltralpe, sulla sua pagina Facebook ha invece scritto: “Accettiamo l’esito del referendum, naturalmente, ma vigileremo perché ciò non si traduca in una lesione dei diritti dei nostri concittadini lombardi o (peggio) nella introduzione di discriminazioni o violazioni delle norme che tutelano i nostri lavoratori. A partire da domani, dunque – precisa Roberto Maroni – la Regione Lombardia predisporrà le adeguate contromisure per difendere i diritti dei nostri concittadini lavoratori”.
I politici lombardi si sono comunque lasciati andare ad un reciproco scambio di accuse: “Se ci saranno conseguenze per i nostri lavoratori – ha detto il segretario regionale Pd Alessandro Alfieri, puntando il dito contro l’amicizia fra il Carroccio e Lega dei ticinesi – di certo la Lega di Maroni e Salvini non sarà esente da colpe”. Ha parlato di un “capolavoro di irresponsabilità” da parte del Canton Ticino l‘europarlamentare Lara Comi (Fi) che ha annunciato di aver scritto alla commissaria Ue Marianne Thyssem per “incontrarla chiedendo di poter avviare urgentemente la sospensione di tutti gli accordi ad oggi in essere tra Svizzera ed Europa”. Comi ha anche chiesto al governo italiano di creare un’area tax free “nelle zone di confine con la Svizzera”.
“Ce l’aspettavamo, anzi è già tanto che la percentuale non è stata più alta, c’è troppo un clima di malessere oltreconfine”, ha invece commentato Eros Sebastiani, presidente dell’Associazione Frontalieri Ticino, sede a Varese, dalla cui provincia arrivano circa 25.000 dei lavoratori che vanno a lavorare nel cantone svizzero. Altri 22.000 arrivano dal comasco e il resto tra il lecchese, la Valtellina, il Verbano-Cusio-Ossola in Piemonte, e in minore percentuale da altre zone del centro Italia. “Ho già ricevuto molte telefonate preoccupate di lavoratori che mi hanno chiesto ‘ma che succede domani? non ci fanno passare?’ – ha raccontato Sebastiani -. La prima cosa da precisare è che domani non accadrà proprio nulla, perché quella è stata solo una consultazione per sollecitare Berna a fare qualcosa, ma dubito che si arriverà mai ad una legge vera e propria come richiesto dal testo della consultazione”. “Quello che non è da sottovalutare però – ha aggiunto – è che questi risultati sono il sintomo di un clima che potrebbe diventare esplosivo, purtroppo ci sono davvero delle situazioni che esasperano gli animi, come i casi di tanti lavoratori stranieri, non dico italiani, che accettano di lavorare per paghe bassissime”.
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