Il Presidente Usa blocca la pubblicazione del contro memo dei democratici che prende le difese dell’Fbi, dopo la declassificazione del rapporto repubblicano che discredita il lavoro dell’agenzia federale sull’inchiesta Russiagate.
C’è qualcuno tra i repubblicani che ha letto il memo anti-fbi, e che ha parlato di materiale esplosivo, molto più forte del Watergate. Alcuni estratti del documento hanno iniziato a circolare in rete, soprattutto sui siti di alcuni media sia nazionali che internazionali.
Sul contenuto del file ci sono informazioni parziali e comunque se ne è parlato già abbastanza per capire che la decisione di Trump del 2 febbraio scorso di declassificarlo, è una dichiarazione di guerra aperta contro il Russiagate, l’inchiesta di Mueller che indaga sui rapporti tra Trump e la Russia durante la campagna elettorale per le ultime presidenziali.
Il rapporto di 4 pagine è stato stilato dallo staff di David Nunes, presidente repubblicano della Commisione Intelligence alla Camera e metterebbe in luce il fatto che il dipartimento e l’Fbi, in nome della sicurezza nazionale avrebbero abusato del loro potere per mettere sotto controllo le comunicazioni di Carter Page, all’epoca consigliere della campagna elettorale di Trump, sospettato di spionaggio per i suoi contatti con i russi.
La decisione di iniziare a seguire Page, da parte dell’Fbi, sarebbe scaturita – questa la versione contenuta nel memo – dal dossier Steele, un rapporto preparato da un’ex spia dei servizi d’intelligence britannici sui rapporti tra la Russia e Trump per conto del partito democratico il cui cadidato allora per le presidenziali era Hillary Clinton.
In realtà chiarisce Luke Harding, autore di “Collusion, come la Russia ha aiutato Trump a conquistare la Casa Bianca“, l’indagine dell’Fbi era nata dalle segnalazioni di incontri tra i collaboratori di Trump e i russi, che le agenzie d’intelligence sia europee che britanniche avevano fatto all’Fbi.
Il 2 febbraio, Trump spiega su twitter perchè il memo screditerebbe l’Fbi: La leadership al vertice dell’Fbi, gli investigatori e il Dipartimento della Giustizia hanno politicizzato il sacro processo investigativo a favore dei democratici e contro i repubblicani. Una cosa che sarebbe stata impensabile fino a poco tempo fa”.
Buona parte dei democratici si è scagliato contro il memo, votando contro la sua diffusione. Tra questi Nancy Pelosi, la leader della minoranza democratica alla Camera che già a gennaio, dopo aver letto alcuni estratti del documento aveva parlato di un contenuto parziale e fuorviante rispetto alle reali motivazioni dietro l’indagine dell’Fbi.
Nei giorni scorsi la stessa Pelosi ha chiesto che venga urgentemente declassificato un contro memo questa volta dei democratici per rispondere al documento anti-Fbi stilato dai repubblicani.
Secondo alcune fughe di notizie il contro memo proverebbe che a finanziare il dossier Steele, non sarebbe stato il partito democratico e dunque l’allora staff elettorale di Clinton.
Per il momento Trump non ha autorizzato la diffusione del rapporto dei democratici sulla polizia federale, la cui pubblicazione era attesa per venerdì. La Casa Bianca cita preoccupazioni relative alla sicurezza nazionale nel notificare formalmente la Commissione Intelligence della Camera che il presidente Trump è “impossibilitato” a declassificare il memo dei democratici.
Al di là della guerra dei dossier, nel mirino di Trump c’è Rod Rosenstein, il viceministro della Giustizia che supervisiona il lavoro di Mueller sul Russiagate. D’altronde proprio il Dipartimento di Giustizia è stato chiamato in causa dal tweet di Trump.
Il botta e risposta tra i rapporti secretati giunge in un momento cruciale dell’indagine sui rapporti tra Mosca e Washington, proprio quando resta l’ultima testimonianza, la più cruciale, quella del Presidente statunitense. Proprio qui la macchina dell’inchiesta potrebbe incepparsi.
I legali di Trump, hanno sconsigliato al Presidente di rifiutare un eventuale interrogatorio. Un no del tycoon potrebbe spingere Mueller ad inviare un mandato di comparizione davanti ad un grand jury, aprendo un possibile scontro in tribunale che potrebbe approdare alla Corte Suprema.
Molte le implicazioni politiche di questo scenario. Se Trump non dovesse sottoporsi ad un interrogatorio, per molti, soprattutto all’interno del Congresso, significherebbe che il Presidente ha davvero qualcosa da nascondere.
Giorgia Orlandi
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