Fra gli italiani famosi compaiono Luca Cordero di Montezemolo, l’ex pilota di Formula 1 Jarno Trulli e l’imprenditore Giuseppe Donaldo Nicosia, coinvolto in un’inchiesta per frode fiscale insieme a Marcello Dell’Utri. Ma dalla lista vengono fuori anche i nomi di personaggi dello sport, come Lionel Messi e Michel Platini, dello spettacolo, come gli attori Jacky Chan e Pedro Almodovar, e una settantina di leader politici fra capi di Stato, di governo e teste coronate. Tra di loro il re dell’Arabia Saudita, Salman, e quello del Marocco, Muhammad VI; il premier islandese Sigmundur David Gunnlaugsson e quello pakistano Nawaz Sharif, il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliev e quello argentino, Mauricio Macrì, il Segretario Generale del partito comunista cinese Xi Jinping e del premier UK David Cameron. Ci sono parenti stretti di Petro Poroshenko, il presidente filo-europeo dell’Ucraina, ma anche uomini di fiducia del suo arcirivale Vladimir Putin.
Sono i clienti di Mossack Fonseca, uno studio legale con sede a Panama e uffici in 42 paesi. Lo studio li avrebbe assistiti nella fondazione di società offshore: attività in sé lecita, ma vietata quando serve a nascondere i loro patrimoni al fisco attraverso ripetuti passaggi di mano tra le frontiere dei paradisi fiscali. Passaggi di mano che spesso hanno anche l’effetto di ripulire i frutti di attività di per sé illegali, dalla semplice evasione ai traffici internazionali di armi e droga.
La lista completa contiene circa duecentomila società che si sono servite di Mossack Fonseca: i nomi italiani sono circa 800, mentre i contingenti più numerosi sono quelli di Panama, Londra e Hong Kong. È tutto scritto in un dossier imponente, battezzato Panama Papers, che un informatore ha consegnato nel 2015 alla Sueddeutsche Zeitung. Si tratta del leak più grande della storia, e non di poco: contiene più di 11 milioni di file per un “peso” di 2,6 terabyte, circa 1500 volte le rivelazioni di Edward Snowden a Wikileaks, che alla fine del 2012 aprirono lo scandalo Datagate.
Da oltre un anno, sui Panama Papers lavorano circa 380 reporter dell’International Consortium for Investigative Journalists (ICIJ), un’associazione internazionale di giornalisti che pubblicano le loro inchieste in 76 paesi (in Italia su L’Espresso).
“Per 40 anni Mossack Fonseca ha operato in maniera irreprensibile nel nostro Paese e in altre giurisdizioni dove siamo attivi”, ha replicato Ramon Fonseca Mora, capo dello studio legale e suo fondatore insieme a Juergen Mossack. “La nostra società non è mai stata accusata o incriminata per legami con attività criminali”. Secondo Fonseca, responsabili di qualsiasi pratica illecita dovessero riscontrare gli inquirenti sarebbero le società clienti del suo studio. “Se notiamo attività sospette o condotte poco chiare – continua – siamo rapidi a denunciarle alle autorità. Nello stesso modo, quando le autorità ci mostrano prove di possibili illeciti, noi cooperiamo pienamente”.
Fonseca si spinge oltre: secondo le sue dichiarazioni, i Panama Papers sono frutto di un “attacco hacker”, un “crimine” commesso contro Panama per rifarsi della sua competitività nell’attrarre le imprese. Da parte loro, le autorità di Panama City hanno promesso di fare piena luce sul caso: il governo assicura che collaborerà in caso di azioni legali, mentre la Procura esaminerà le carte alla ricerca di eventuali reati.
È interessante notare come ogni testata dia più risalto a certi nomi a seconda della nazionalità: ad esempio Haaretz, oltre che sulle aziende che fanno capo ai primi ministri di Islanda e Pakistan, si sofferma sui più importanti uomini d’affari israeliani, L’Espresso cita i gruppi bancari UBI e Unicredit, mentre il britannico the Guardian ha deciso di impostare l’apertura del suo servizio sui misteri dell’entourage di Vladimir Putin. Per la verità, nei Panama Papers il nome del presidente russo non compare mai. Ma c’è quello del violoncellista Sergej Rodugin, suo amico e padrino di una delle sue figlie, che avrebbe ricevuto due miliardi di dollari da Bank Rossija, l’istituto di credito guidato dal “banchiere del Cremlino” Jurij Kovalcuk. Di quella somma si perdono le tracce fra Cipro e le Isole Vergini Britanniche. Ad ogni modo, Putin sull’argomento aveva già detto la sua prima ancora della pubblicazione delle prime indiscrezioni: ieri Dmitri Peskov, portavoce del presidente, aveva accusato i giornalisti di “putinofobia” e di essersi inventati tutto. Oggi le televisioni russe tacciono, così come i quotidiani – esclusi gli indipendenti di Novaja Gazeta, il giornale di Anna Politkovskaja – mentre la tv in inglese Russia Today ricorda che nella lista dei nomi è presente anche Ian Cameron, il padre del premier britannico David, ricchissimo agente di cambio della City scomparso nel 2010. Tra gli altri nomi legati all’entourage di Putin comparsi nel dossier ci sono la moglie di Peskov, l’ex campionessa di pattinaggio artistico Tatyana Navka, parenti stretti del ministro dello Sviluppo economico Maksim Liksutov e del segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale Nikolaj Patrushev.
Diverse testate, fra cui l’Irish Times, si sono soffermate invece sulle personalità del mondo sportivo, in particolare legate al calcio. Secondo il quotidiano irlandese i Papers conterrebbero i nomi di almeno venti campioni del passato e del presente. Sicuramente c’è quello di Michel Platini, ex giocatore della Juventus e presidente UEFA sospeso dall’incarico per sospetti di corruzione. Ci sarebbero anche il cileno ex Inter Ivan Zamorano e il primatista di Palloni d’oro Lionel Messi, che secondo Sport, un quotidiano di Barcellona, sarebbe pronto a sporgere querela contro l’ICIJ e la Zeitung. Ma la lista conterrebbe anche nomi altisonanti legati alla proprietà di una ventina di club di primo piano, fra cui Inter, Boca Juniors e Real Sociedad.
Il quotidiano di Nuova Delhi The Indian Express riferisce inoltre che Elettronica SpA avrebbe usato due società offshore per ricevere tangenti in cambio di forniture all’aviazione e alla marina indiane. La compagnia, però, “respinge ogni pratica errata o illegale”: secondo quanto hanno dichiarato i suoi rappresentanti, gli unici contratti con il governo indiano erano stati ereditati da una compagnia che Elettronica aveva acquisito nel 1992.
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