A una settimana dall’Election Day, negli USA tiene banco la nuova inchiesta FBI sul Mailgate, lo scandalo sulle email collegate alla candidata democratica Hillary Clinton.
Intanto l’agenzia investigativa federale ha pubblicato le carte di un’indagine archiviata da anni, sulla grazia concessa a un finanziere amico da Bill Clinton, marito di Hillary. I fatti risalgono al 2001, quando Bill era presidente: il suo amico era scappato in Svizzera per sfuggire a un’inchiesta per evasione fiscale.
Hillary Clinton ha prontamente risposto alle accuse, mentre si scatenano le prevedibili polemiche sulle azioni di James Comey, il direttore dell’FBI che ha scelto di rivelare tutto alla stampa.
Secondo il New York Times, Comey avrebbe violato la prassi di non svelare i dettagli delle inchieste sui candidati – o su persone vicine a loro – in periodo di campagna elettorale, per evitare di interferire nelle elezioni. Prassi che invece aveva seguito lo scorso agosto, quando l’FBI aveva concordato con il dipartimento di Giustizia di non rivelare nulla su altre due indagini “sensibili”. Una riguardava i finanziatori stranieri della Fondazione Clinton, l’altra esaminava i rapporti fra Paul Manafort, allora capo della campagna elettorale del candidato repubblicano Donald Trump, ed esponenti della politica e degli affari in Russia e in Ucraina.
Cosa ha spinto il direttore Comey a rompere il silenzio, questa volta? Il NYT avanza un’ipotesi: potrebbe aver considerato una fuga di notizie come una certezza, nell’atmosfera incandescente degli ultimi giorni della campagna elettorale. E quindi potrebbe aver deciso di rivelare tutti i dettagli in suo possesso perché il Congresso non lo potesse accusare di aver tenuto nascoste informazioni rilevanti. Ma visto il tempismo con cui ha agito, qualcuno scorge ancora in controluce tracce di malafede. Negli USA, rivelazioni a orologeria di questo genere sono piuttosto comuni, tanto che l’espressione October surprise (“sorpresa di ottobre”: appena prima delle elezioni, che si tengono sempre nella prima metà di novembre) è entrata nell’uso comune.
Nella ricostruzione del NYT, l’inchiesta sulla Fondazione Clinton era partita da informazioni circolate sulla stampa e contenute nel libro “Clinton Clash”. I fatti contestati risalgono a quando l’attuale candidata democratica alle presidenziali era Segretario di Statao. Come accennato in precedenza, il libro l’accusa di aver ricevuto finanziamenti da donatori stranieri in cambio di favori. Accuse nate sulla stampa, e quindi già di pubblico dominio: anche il rivale Trump le ha menzionate, e lei ha sempre negato di aver mai fatto alcunché di illegale. Mentre gli investigatori, nota il NYT, non sono riusciti a “sviluppare molti elementi probatori” oltre a quanto già scritto nel libro e sui giornali.
Manafort, invece, era finito nel mirino degli investigatori per i suoi rapporti con politici come Viktor Yanukovich – l’ex presidente filorusso dell’Ucraina – e affaristi come Oleg Deripaska, un oligarca alleato del presidente russo Vladimir Putin. Anche in questo caso il diretto interessato nega di aver fatto alcunché di illegale, anzi, è arrivato a negare l’esistenza della stessa indagine federale. Indagine che invece è viva e vegeta, assicura il NYT: anzi, la decisione di congelarla per non turbare la corsa alla Casa Bianca avrebbe mandato su tutte le furie gli investigatori di Quantico, che in sostanza hanno accusato i loro dirigenti di aver loro impedito di fare il proprio lavoro.
I nuovi messaggi di posta elettronica rintracciati dagli investigatori riguardano le indagini su Anthony D. Weiner, il marito di Huma Abedin, braccio destro della Clinton. Weiner è accusato di aver spedito foto e messaggi sessualmente espliciti a diverse donne. Le prime rivelazioni, risalenti al 2011, non erano state reputate di alcuna rilevanza penale, ma lo avevano comunque costretto alle dimissioni dalla Camera dei Rappresentanti, per violazione del codice etico dell’organo. Ma negli anni successivi lo scandalo è cresciuto e si sono fatte avanti altre donne, alcune delle quali minorenni all’epoca dei fatti. Lo scorso agosto Huma Abedin ha dichiarato proprio al NYT di aver chiesto il divorzio.
F.M.R.
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