L’NSA, l’Agenzia nazionale USA per la sicurezza, spiava il telefono di Silvio Berlusconi. Le conversazioni intercettate rivelate da Wikileaks hanno scatenato un terremoto politico e diplomatico, con il governo italiano in prima fila a chiedere chiarezza.
In Senato il premier Matteo Renzi aveva annunciato una “presa di posizione nelle prossime ore della Farnesina”. Pochi minuti dopo è stato accontentato: il ministero degli Esteri ha convocato l’ambasciatore USA a Roma, John Phillips, per “chiarimenti circa le indiscrezioni comparse su alcuni organi di stampa”.
Intanto fa la voce grossa anche Forza Italia, il partito dell’ex cavaliere. I capigruppo al Senato e alla Camera, Paolo Romani e Renato Brunetta, hanno chiesto di conferire al più presto con Marco Minniti – sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti – e con lo stesso Renzi.
Le intercettazioni di cui si ha notizia risalgono agli anni fra il 2008 e il 2011. Secondo la Repubblica, che ha pubblicato la notizia in anteprima nazionale, la NSA aveva messo in campo una sua unità d’élite, una squadra dello SCS (Special Collection Service, “Servizio speciale di raccolta”). Gli 007 avevano messo sotto controllo, oltre a Berlusconi, anche alcuni dei suoi collaboratori più fidati: tra loro il consigliere personale per le relazioni internazionali Valentino Valentini, il consigliere per la sicurezza nazionale Bruno Archi e il rappresentante permanente dell’Italia presso la NATO Stefano Stefanini. E nella lista c’era anche il consigliere diplomatico della presidenza del Consiglio Marco Carnelos, ora ambasciatore italiano in Iraq, che ha commentato con un tweet: “Come potrebbero essere efficaci contro il terrorismo se perdono tempo con me?”
Fra i documenti interessati dalla soffiata c’è una conversazione in cui Berlusconi promette al premier israeliano Benjamin Netanyahu di “mettere l’Italia a disposizione di Israele” per risolvere una crisi diplomatica con gli USA nel marzo del 2010.
Il sito fondato da Julian Assange ha pubblicato anche un rapporto “top secret/noforn”, cioè da non divulgare tassativamente all’estero, sull’incontro del 22 ottobre 2011 con la cancelliera federale tedesca Angela Merkel e l’allora presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy.
Nel corso dell’incontro l’allora premier italiano cercava di rassicurare i suoi colleghi europei sulla solidità delle istituzioni finanziarie nazionali minacciate dallo spread ai massimi storici. “Le parole non bastano più”, ammoniva Sarkozy, preoccupato che potessero “saltare come il tappo di una bottiglia di champagne”: per Berlusconi era il momento di “prendere delle decisioni” senza appello. Un incontro “teso e molto duro verso il governo di Roma”, avrebbe commentato Valentini in una conversazione intercettata qualche giorno dopo: Merkel e Sarkozy “non tolleravano scuse” e facevano “pressioni” per avere “misure forti e concrete” sul problema del debito.
Il giorno prima dell’incontro a tre, un attimo prima di rispondere a una domanda sulla fiducia in Berlusconi fatta da un giornalista durante una conferenza stampa congiunta, Merkel e Sarkozy si erano scambiati un sorrisetto ironico che aveva fatto sospettare che la UE avesse già deciso di smettere di fidarsi del governo italiano. Berlusconi si sarebbe dimesso il 12 novembre.
“Siamo pronti a effettuare una serie di verifiche”, ha detto a Montecitorio Nicolò Ghedini, uno dei legali di Berlusconi. “Valuteremo poi il da farsi e potremmo arrivare anche a presentare una denuncia”. Senza denuncia, ha spiegato la Procura di Roma, non si potrà aprire un’inchiesta sui fatti. Ma l’associazione Tribunale Dreyfus ha già annunciato di avere intenzione di presentarla domani: i suoi legali sono convinti di aver riscontrato il reato di spionaggio politico.
“Con gli americani è necessario essere chiari”, commenta Pierferdinando Casini, presidente della commissione Affari esteri del Senato: “Gli amici non si intercettano e si devono rispettare”. Ma Casini ha anche riconosciuto che il fatto che Berlusconi fosse intercettato era tutto sommato prevedibile, visto che allo stesso trattamento erano stati sottoposti più o meno tutti i suoi omologhi europei, compresa la cancelliera Merkel.
Il senatore Romani è dello stesso avviso: “Quello che è accaduto in Germania non fa che avvalorare ciò che aveva anticipato Assange”. Ma il capogruppo azzurro a palazzo Madama fa anche un’altra osservazione: “Il governo italiano, a fronte di alcune nostre interrogazioni, ha sempre detto che si trattava di fatti non veri”.
Nel 2013, quando le rivelazioni dell’analista Edward Snowden pubblicate da Wikileaks fecero scoppiare il Datagate, l’allora presidente del Consiglio Enrico Letta aveva provato a rassicurare il Parlamento sostenendo che non esistesse una sorveglianza sistematica a carico di cittadini italiani. A ottobre di quello stesso anno il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, aveva incontrato a Washington il generale John Inglis, allora vicedirettore dell’NSA. Inglis a sua volta aveva ammesso che le autorità italiane non erano state avvertite delle attività di sorveglianza, ma aveva escluso la raccolta indiscriminata di dati e aveva rivendicato i successi della sua agenzia nello sventare un presunto attentato terroristico a Napoli.
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