Chelsea Manning uscirà di prigione a maggio. Il presidente uscente degli USA, Barack Obama, ha deciso di commutare la pena all’analista di intelligence condannata a 35 anni di carcere per aver consegnato centinaia di migliaia di documenti segreti a WikiLeaks.
La fuga di documenti, una delle più grandi nella storia degli USA, aveva dato il via al Datagate. La Manning, che lavorava nell’ambito delle operazioni militari americane in Iraq, decise di consegnare all’organizzazione di Julian Assange migliaia di documenti, che fra l’altro provavano l’omicidio di numerosi civili disarmati da parte delle truppe USA.
All’epoca dei fatti, Chelsea Manning si chiamava ancora Bradley: ha rivelato di non riconoscersi come uomo, e ha iniziato la terapia ormonale per diventare donna, subito dopo essere stata condannata da un tribunale militare, nel 2013.
Il suo processo e la sua detenzione sono sempre stati al centro dell’attenzione, con l’opinione pubblica nettamente divisa fra chi la considera un’eroina e chi una traditrice. Il caso rientra nel dibattito sui whistleblower, gli individui che denunciano le malefatte dei governi (letteralmente, in inglese, quelli che “suonano il fischietto”). La giudice Denise Lind ha riconosciuto la Manning colpevole di 21 dei 22 capi d’imputazione, escludendo però il più grave, quello di intelligenza con il nemico, che le sarebbe potuto costare la pena di morte.
Nonostante la sua condizione di transessuale, finora è stata rinchiusa in un penitenziario maschile, a Fort Leavenworth. Il regime carcerario applicato nei suoi confronti ha suscitato numerose critiche, anche perché la Manning ha tentato il suicidio due volte nel corso del 2016. Secondo le denunce dei suoi difensori, durante la detenzione ha subito continue violazioni dei suoi diritti fondamentali: ad esempio è stata costretta a dormire con le luci accese e a subire controlli ogni 5 minuti giorno e notte.
È finito sotto accusa anche il trattamento ricevuto da parte dell’esercito e del sistema giudiziario USA a proposito della sua identità di genere. Durante il processo, la difesa aveva sostenuto che questo fosse uno dei motivi che avevano convinto l’analista a consegnare i documenti a WikiLeaks. In un’email del 2010, Manning spiegava di essersi arruolato proprio per “sbarazzarsi” della propria transessualità.
La decisione di Obama, il cui secondo mandato alla Casa Bianca scadrà fra tre giorni, non è un provvedimento di grazia, ma di commutazione della pena da 35 a 7 anni di reclusione. Chelsea Manning, quindi, sarà rimessa in libertà il 17 maggio di quest’anno anziché nel 2045. La decisione ha suscitato reazioni contrastanti: esulta WikiLeaks, che twitta “Vittoria” a caratteri cubitali, mentre la Courage Foundation, nata da una costola dell’organizzazione di Assange, è preoccupata che il precedente della sua condanna continui a tenere in scacco i whistleblower.
A chiedere la grazia a Obama, in vista della scadenza del suo mandato, erano stati numerosi protagonisti del dibattito nelle ultime settimane. Tra di loro Edward Snowden, l’ex analista CIA protagonista del Datagate, che vive in Russia dal 2013, e lo stesso Assange, che vive nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e si è detto pronto a consegnarsi alle autorità USA in cambio di Manning.
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