All’età di 87 anni si è spento a Città del Messico lo scrittore di origine colombiana Gabriel Garcia Marquez. Lo scorso 3 aprile era stato ricoverato in un ospedale di Città del Messico per disidratazione e infezione alle vie respiratorie e urinarie. Le sue condizioni si sono poi aggravate, è morto nella sua casa nella capitale messicana.
Premio nobel per la letteratura nel 1982, ‘Gabo’ come era chiamato, è considerato il padre del realismo magico. Con il suo romanzo più famoso, “Cent’anni di solitudine”; del 1967, poi con i successivi “Cronaca di una morte annunciata” e “L’amore ai tempi del colera” – ma tra i conosciuti dal grande pubblico c’è anche “L’autunno del patriarca”, mentre l’ultimo suo lavoro si intitola “Memorie delle mie puttane tristi”-, ha avvicinato milioni di persone alla letteratura.
Oltre ad essere uno scrittore Marquez per anni è stato anche un grande giornalista: ha raccontato i più drammatici avvenimenti, dalle rivoluzioni di Cuba e del Portogallo alla tragedia cilena, al Che, ai cubani in Angola, ai montoneros, ai dittatori centroamericani, alla Spagna postfranchista di Felipe Gonzales. La figura di Gabo non è legata solo alla sua attività letteraria quindi, ma si intreccia anche alla storia del Sudamerica. Difese la rivoluzione castrista a Cuba, amico intimo di Fidel Castro lo definì “uno dei grandi idealisti del nostro tempo”, anche se chiese sempre a Fidel più democrazia, è accanto a lui all’Avana alla messa del Papa(Giovanni Paolo II) durante la storica visita pontificia del 1998.
La notizia della sua morte, avvenuta in età avanzata colpisce e addolora. Uno dei primissimi messaggi di condoglianze, un tweet del presidente colombiano Juan Manuel Santos, dice: “Mille anni di solitudine e tristezza per la morte del più grande dei colombiani di tutti i tempi. Solidarietà e condoglianze a Gabo e la famiglia”.
“Aveva sentito dire che la gente non muore quando deve ma quando vuole”: lo dice il suo personaggio de “Il mare del tempo perduto”. Uno che ne sa più degli altri, come colui che l’ha creato. Perché ha scelto la stessa strada, consapevole che “la vita non è quella che si è vissuta, ma quella che si ricorda come la si ricorda per raccontarla”. E della sua ci lascia numerose tracce.
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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