Pjanic&co. possono esultare: il Bayer è scavalcato
Un’altra serata all’insegna del batticuore per i giallorossi, autori di un’altra prestazione da Dr. Jekyll e Mr. Hyde contro un non meno umorale Bayer Leverkusen. Un abbinamento che ormai è garanzia di spettacolo, emozioni e qualche strafalcione di troppo. Ma, vista la posta in gioco con la vittoria come unico risultato possibile per mantenere sufficientemente alte le probabilità di accedere agli ottavi di Champions, il 3-2 faticosamente ottenuto all’Olimpico vale ben più di una condotta di gara ancora una volta in chiaroscuro ma con i coni d’ombra sinistramente prevalenti sui, pur abbaglianti, lampi di classe e dinamismo dispensati dalle sue incontenibili frecce.
Un avvio di partita che migliore, per la Roma, non poteva proprio essere anche se enormemente agevolato da un atteggiamento tattico a dir poco scriteriato da parte degli uomini di Schmidt, scesi in campo con il lodevole proposito di fare la partita anziché difendere lo 0-0 di partenza (che avrebbe dato loro una quasi assoluta certezza di agguantare almeno il secondo posto) ma con una linea difensiva talmente alta da far arrossire persino uno specialista in materia come Zeman. Niente di più invitante per gli sprinter giallorossi con un Salah in grande condizione (rete dell’1-0 e rigore ed espulsione decisivi procurati nella ripresa), quanto impreciso in un paio di circostanze che avrebbero potuto chiudere anzitempo la contesa risparmiando una volta tanto le già sollecitate coronarie dei tifosi romanisti. Ma, dopo essersi prodotto in scatti così brucianti, è più che comprensibile e anche giustificabile un debito d’ossigeno al momento di fare appello alla precisione nell’ultimo passaggio. Come grave è stato anche l’errore di Dzeko, sprecone sottoporta con il punteggio già sul 2-0. Ma anche per il bosniaco le luci sono state decisamente superiori alle ombre: l’assist all’egiziano e il gol in proprio (rotto un digiuno che si protraeva dal 30 agosto) per il raddoppio fugano qualsiasi dubbio circa la bontà della prestazione dell’ariete romanista. Male, invece, l’altra freccia, Gervinho, rimasto non solo a secco ma ai margini della partita fino alla sostituzione con l’altrettanto inconcludente Iturbe.
Poi, come a Leverkusen, sono stati sufficienti sei minuti di torpore (o paura?) per vanificare tanta grazia. E anche stavolta, più che puntare il dito sulle pur evidenti amnesie difensive (grossolano il ritardo di Florenzi nel salire su Hernandez, ma il “tuttocampista” della Roma era in condizioni menomate, non impeccabile Szczesny e mettiamoci anche l’abbaglio del collaboratore di Karasev, colpevole di non aver visto il pallone di Bellarabi oltre l’out laterale ) è stato l’atteggiamento complessivo della squadra di Garcia a difettare di lucidità. Troppa ansia a bloccare muscoli e testa. Di tutti. Non solo dietro.
E’ stato sufficiente l’ingresso di Bellarabi (perché non dall’inizio, Schmidt?) a mandare in tilt l’undici di casa. Poi gli infortuni di Florenzi prima e del suo sostituto Maicon dopo (con conseguente ingresso di Torosidis e annessa riflessione: ma quante squadre dispongono, in Italia e all’estero, di una terza scelta del genere sulla fascia destra? ) combinati all’impossibilità di cambiare anche l’acciaccato De Rossi (le tre sostituzioni erano state già fatte), facevano già presagire l’ennesimo dispiacere per ciò che poteva essere e non è stato. Invece, stavolta non si era ad Halloween e le streghe sono state scacciate a 10 minuti dal gong dal provvidenziale, quanto incerto, rigore di Pjanic. Gli occhi dilatati “alla Schillaci” del centrocampista bosniaco erano gli occhi di tutta la Roma e di tutto l’Olimpico. Quello che riusciva a guardare il campo, perlomeno. Florenzi, ad esempio, dalla panchina, non ce l’ha fatta. Paura e tensione rendevano l’aria elettrica e la sfera pesante come un pallone medico. L’esecuzione, infatti, è stata tutt’altro che perfetta ma la sorte ha voluto che il pallone scorresse sotto il fianco di Leno per l’urlo liberatorio dello stadio. Undici metri che potevano indirizzare un’intera stagione e decretarne persino il ridimensionamento già ad inizio novembre. Tutto bello, ma c’erano ancora dieci minuti più recupero da giocare. Contro avversari in dieci. Eppure, la paura era ancora palpabile. E la squadra ha tremato fino al triplice fischio.
Ora, in prospettiva qualificazione, visto il vantaggio di un punto sul Bayer e quello garantito dai punti negli scontri diretti in caso di arrivo alla pari in classifica, più ancora che la proibitiva trasferta al Camp Nou e dando per nette favorite Roma e Leverkusen nei due rimanenti confronti con il Bate Borisov, l’ago della bilancia potrebbe essere Bayer-Barcellona in programma in Germania all’ultimo turno.
Siccome tutto è bene quel che finisce bene, questo 3-2 è un toccasana che permette il sorpasso sul Bayer. Ma la lezione che questo oltremodo adrenalinico doppio confronto con i tedeschi lascia è chiara: la paura è comprensibile ed umana, ma se si vuol competere per certi traguardi diventa un lusso che neppure un organico così profondo come quello della Roma di quest’anno si può permettere.
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