Donald Trump vorrebbe licenziare anche Robert Mueller, il superprocuratore che coordina le indagini sul Russiagate. A dirlo alla PBS, la radiotelevisione di Stato USA, è stato Christopher Ruddy, CEO di Newsmax Media, ma soprattutto vecchio amico del presidente.
La Casa Bianca nega tutto ma non convince fino in fondo. “Ruddy parlava delle sue opinioni”, sostiene la vice portavoce Sarah Huckabee Sanders. “Ruddy non ha mai parlato con il presidente in merito a questa questione”, rincara il titolare Sean Spicer, e “solo il presidente o i suoi avvocati sono autorizzati a commentare”.
Nel mese scarso passato dalla sua nomina, Mueller si è fatto diversi nemici tra i sostenitori più accesi di Trump. Lo considerano troppo vicino a James Comey, il direttore dell’FBI – subentrato proprio a lui – licenziato da Trump dopo le schermaglie di inizio mandato. Ma a Washington Mueller ha ancora tanti estimatori pronti a giurare sulla sua serietà e sulla sua indipendenza di giudizio. Tra di loro anche molti esponenti delle correnti meno trumpiane del partito Repubblicano, come il senatore del South Carolina Lindsey Graham: “Sarebbe un disastro”, commenta il senatore, “non c’è ragione di licenziare Mueller”.
Secondo la legge nulla vieta a Trump di disfarsi di Mueller, proprio come ha fatto con Comey. Ma a livello di immagine e di credibilità politica sarebbe un passo falso di proporzioni gigantesche. Agli occhi della nazione (o per la precisione, a quella parte della nazione che non lo segue acriticamente in tutte le sue iniziative, che sebbene faccia meno rumore degli oltranzisti resta comunque una maggioranza), licenziarlo sembrerebbe un’ammissione di colpevolezza.
La nomina del superprocuratore, nemmeno un mese fa, aveva raffreddato i toni della polemica sulle presunte ingerenze del Cremlino nella campagna elettorale che ha portato Trump alla Casa Bianca. Come abbiamo già accennato, Mueller a Washington non ha bisogno di presentazioni. La stima bipartisan nei suoi confronti è tanta che nel 2011 Barack Obama gli prolungò di due anni il mandato da direttore dell’FBI, un atto senza precedenti, nonostante fosse stato nominato dal suo predecessore George W. Bush.
Alla guida dell’indagine sul Russiagate, invece, è stato nominato dal vice-Procuratore generale Rod Rosenstein: il titolare Jeff Sessions si è dovuto auto-ricusare perché è coinvolto in prima persona nei fatti contestati.
La rivelazione di Ruddy ha inaugurato una giornata di fuoco, durante la quale Sessions e Rosenstein sono attesi al Congresso per deporre sul caso.
F.M.R.
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