Armeni, è rottura tra Turchia e Vaticano

Il cammino della Chiesa è quello della franchezza: dire le cose, con libertà”. Durante la messa a Santa Marta, papa Francesco è tornato – seppure in modo implicito – sulla questione del genocidio armeno che ieri aveva provocato l’ira diplomatica della Turchia.

Tra Ankara e la Santa Sede ormai è maturata una frattura politica netta, appena cinque mesi dopo la visita del Pontefice a Istanbul, che potrebbe riflettersi anche sulle relazioni fra Turchia e UE.

“Le misure che verranno prese” – ha detto il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu – “saranno rese pubbliche dopo una nostra consultazione”.

Dopo il premier Ahmet Davutoglu, che ha definito le dichiarazioni del Papa “inappropriate” e lo ha accusato di “leggere quelle vicende dolorose in modo fazioso”, oggi è intervenuto nella questione anche il ministro per gli Affari europei Volkan Bozkir, che ha attribuito la responsabilità delle dichiarazioni alla diaspora armena “dominante nel mondo della stampa e degli affari” in Argentina.

Sulle stesse posizioni si è allineato il Gran Mufti Mehmet Gormez, la più alta autorità spirituale islamica in Turchia, che si è detto “preoccupato che lobby politiche e ditte di relazioni pubbliche abbiamo allargato le loro attività alle istituzioni religiose”.

Durante la messa di ieri, celebrata alla presenza delle maggiori autorità spirituali delle Chiese armene, il Santo Padre aveva definito lo sterminio di un milione e mezzo di armeni perpetrato dai Giovani Turchi nel 1915 “la primadelletre grandi tragedie inaudite” del XX secolo, seguita dalle atrocità commesse da nazisti e stalinisti.

Ricordare quello che gli armeni chiamano Medz Yeghern, il “grande crimine” commesso contro il loro popolo, il primo regno a proclamarsi cristiano più di 1.700 anni fa, è dichiaratamente un modo per attirare l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale nei confronti delle persecuzioni che subiscono oggi i cristiani in tante parti del mondo.

“Anche oggi – continua l’omelia del Papa – stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall’indifferenza generale e collettiva, dal silenzio complice di Caino che esclama: ‘A me che importa?’; ‘Sono forse io il custode di mio fratello?’”.

La reazione di Ankara è stata immediata: già ieri il presidente Recep Tayyip Erdogan ha convocato il nunzio apostolico Antonio Lucibello per una protesta formale.

La Turchia non riconosce la definizione di “genocidio” attribuita comunemente allo sterminio degli armeni. Secondo la posizione ufficiale del governo, quella fra turchi e armeni fu una guerra civile aggravata da una carestia, e i morti non più di mezzo milione.

Gli storici hanno formulato ricostruzioni anche diversissime tra loro, ma stimano il numero delle vittime tra 500.000 e 2.500.000, su una popolazione armena che forse raggiungeva i dieci milioni di unità.

Il governo turco contesta anche l’uso della parola “genocidio”, che nel 1915 non era ancora stata coniata, e non è stata attribuita allo sterminio degli armeni da sentenze di tribunali internazionali come invece è accaduto nei casi successivi.

In Turchia, usare in pubblico la parola “genocidio” per riferirsi ai “fatti del 1915” è considerato un “atto anti-patriottico”, punibile e spesso punito con la reclusione.

Il negazionismo della storiografia ufficiale e la censura della stampa, che ha costretto al carcere molti giornalisti non allineati, sono due dei principali ostacoli nei negoziati fra la Turchia e la UE.

I passi compiuti dall’amministrazione Erdogan in questa direzione sono stati pochi e contraddittori: al massimo il presidente ha presentato le sue “condoglianze” alle famiglie delle vittime dei “fatti del 1915”.

In questi mesi, oltretutto, l’euroscetticismo e il negazionismo sulla questione armena sono due armi con cui il partito AKP sta cercando di frenare la fuga a destra dei suoi elettori in vista delle elezioni politiche del prossimo giugno.

A questo proposito è intervenuto il ministro degli Esteri italiano Paolo Gentiloni, in una conferenza stampa a margine del vertice euro-mediterraneo di Barcellona.

“La durezza dei toni turchi non mi pare giustificata”, ha commentato Gentiloni. In tema di riconoscimento giuridico del genocidio, il ministro ha ricordato che l’Italia ha “sempre invitato i due paesi amici, Armenia e Turchia, a dialogare”.

Filippo M. Ragusa

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