Nessuno si era fatto particolari illusioni circa l’esito della spedizione azzurra in quel di Daegu, in Corea del Sud, sede dei Mondiali di atletica appena conclusisi. In effetti ci si attendeva medaglie dai soli Alex Schwazer e Antonietta Di Martino. Schwazer ha chiuso al nono posto un’anonima gara sulla 20 km di marcia.
Un risultato che non esalta ma che potrebbe rappresentare un utile test per l’olimpionico di Pechino su una distanza ( i 20 km) che non è quella preferita dall’atleta di Vipiteno il quale, in Corea, ha avuto la conferma che le sue fiches londinesi dovrà puntarle sui 50 km. Non ha tradito le attese, invece, Antonietta Di Martino, bronzo nell’alto femminile alle spalle di due autentiche fuoriclasse della specialità, la russa Chicherova ( detentrice della miglior prestazione mondiale stagionale), e la croata Vlasic. La campana però, non ha tradito le attese ed è riuscita a saltare la misura di 2,00 metri, utile per agguantare un preziosissimo bronzo dietro le due atlete dell’Est, attestatesi sui 2,03 ( la russa ha prevalso, infatti, solo in virtù dei due errori in meno commessi per raggiungere tale misura). Felicissima, Antonietta, ricevuta tra l’altro in pompa magna dai suoi concittadini in un noto locale di Cava, ma anche consapevole che, senza quei problemi fisici che le sono costati almeno un mese di allenamenti, avrebbe potuto raggiungere anche lei i 2,03. Per il resto solo delusioni dalla spedizione azzurra che è riuscita nella non lusinghiera impresa di realizzare il peggior bilancio di sempre nella storia iridata dell’atletica italiana. Con il solo bronzo della Di Martino, l’Italia chiude la rassegna di Daegu con uno sconfortante 33° posto nel medagliere e con un 19° posto nella classifica a punti. Ma i dati più scoraggianti sono altri due: si è registrato il minimo storico di soli 5 atleti capaci di raggiungere le finali ( con a corollario ben 11 eliminazioni nelle batterie/qualificazioni…) e l’età media degli atleti presenti. Basti pensare che tutti gli azzurri andati a punti terminando le rispettive gare tra i primi 8 hanno più di 30 anni e che la sola medaglista, la Di Martino di primavere alle spalle ne conta già 33. Certo, all’orizzonte, nuove leve non mancano e le 11 medaglie portate in dote a luglio dai nostri rappresentanti negli Europei under23, juniores e nei Mondiali allievi fanno ben sperare per il futuro, ma non se ne parlerebbe, in ogni caso, prima dei Giochi olimpici di Rio del 2016. Prima, però, c’è Londra. E per l’appuntamento con i Giochi del prossimo anno non si riesce a vedere la luce fuori dal tunnel. Ora, sulla graticola, come previsto è il presidente della FIDAL, Franco Arese, il quale, altrettanto prevedibilmente, recita il mea culpa, si appella agli atleti assenti ( Howe, Cusma e Gibilisco) e si lamenta dei tagli operati ( e di quelli che verranno previsti) dal Governo allo sport italiano ( si parla di tagli al Coni per altri 100 milioni, ndr), esortando tutto l’ambiente a studiare i più efficienti modelli stranieri. Il presidente del Coni, Gianni Petrucci, ha difeso strenuamente Arese, invitandolo però neanche troppo velatamente, a tagliare i troppi “rami secchi” e a prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di selezionare solo quegli atleti che possono ambire al podio, e senza quelli in grado di garantire al massimo un onorevole partecipazione. Ma volgendo lo sguardo lontano dai problemi di casa nostra, negli occhi di tutti gli appassionati resterà la figura sempre più dominante di Usain Bolt. Tutti noi ricorderemo per sempre la sua plateale disperazione dopo la squalifica per falsa partenza nella finale dei 100 mt., come il successivo oro conquistato con un vantaggio abissale sul “resto del mondo” nei 200 mt. Per finire, con l’ultima frazione lanciata, corsa senza concedersi alcun rilassamento neanche sul traguardo, della magnifica staffetta 4×100 giamaicana, autrice dell’impresa per eccellenza di questi campionati, avendo fatto fermare il cronometro su uno strabiliante 37”04, unico primato mondiale stabilito a Daegu ( migliorato il precedente di 37”10, fissato dagli stessi giamaicani a Pechino). E il tutto senza poter contare sul contributo dell’illustre assente, Asafa Powell. “Daegu sarà il primo passo per entrare nella leggenda”, aveva detto alla vigilia Usain. E i suoi passi sono sempre piuttosto veloci.
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