Attentato a Kabul, un italiano fra le vittime

Quattordici persone sono morte ieri sera in un attentato contro un residence di Kabul, rivendicato dai talebani, nel quale ha perso la vita il cooperante italiano Alessandro Abati.

Abati era ospite della guesthouse Park Palace, nel quartiere di Shahr-e Naw, al centro della capitale afghana. Struttura e quartiere sono nel mirino degli insorti perché molto frequentati da stranieri.

In effetti nove delle vittime non sono di nazionalità afghana: tra di loro ci sarebbero quattro indiani, un americano e anche la compagna di Abati, Aigerim Abdulayeva, di origini kazake.

La tv indiana CNN-IBN, la prima a dare la notizia, parlava di due vittime italiane, ma oggi il ministero degli Esteri ha confermato solo la morte di Abati.

L’attentato è stato rivendicato con un’email firmata Zabihullah Mujahid, il sedicente portavoce dei talebani, con ogni probabilità uno pseudonimo collettivo che gli insorti usano per tutte le comunicazioni con l’esterno.

Da chiunque sia stato scritto, il testo sostiene che il Park Palace sia stato colpito perché frequentato da americani, e che al momento dell’attacco fosse in corso “un incontro importante”.

Al momento dell’attacco nel residence si stava svolgendo una festa frequentata da stranieri, tra cui molti indiani e turchi. Forse i talebani erano convinti che nella struttura fosse presente l’ambasciatore indiano, Amar Sinha: lo ha suggerito l’ex vicepresidente afghano Ahmad Zia Massoud, fratello minore del politico e comandante dei mujaheddin Ahmad Shah Massoud, ucciso dai talebani nel 2001 e oggi eroe nazionale.

Restano tuttavia molte aree oscure nella ricostruzione dei fatti. Il comunicato dei talebani parla di un solo attentatore suicida, identificato in Muhammad Idris, originario della provincia di Logar.

Le autorità di Kabul, invece, sostengono che l’attacco sia stato messo in atto da tre persone, tutte morte dopo uno scontro a fuoco di cinque ore con le forze dell’ordine.

Alessandro Abati aveva 48 anni ed era originario della provincia di Bergamo. Lavorava da 15 anni come consulente in materia di Public-private partnership. Prima dell’Afghanistan, il suo lavoro lo aveva portato in diversi paesi dei Balcani e del Medio Oriente.

Georgette Gagnon, Responsabile per i diritti umani della missione ONU in Afghanistan (UNAMA), che ha sede nello stesso quartiere del residence colpito, oltre a condannare con fermezza l’attentato, ha ricordato che dall’inizio dell’anno nel Paese asiatico sono morti più di tremila civili. Questo mentre i talebani, armati contro il governo sostenuto dalla comunità internazionale, ma anche coinvolti nel dialogo sulla riconciliazione nazionale, proclamano di non avere intenzione di uccidere i non combattenti.

 

Filippo M. Ragusa

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