Aumenta la disoccupazione, +0,2% a giugno. Un numero in controtendenza, che emerge dai dati provvisori dell’Istat e che certifica come, a pagare il fio più oneroso siano i ragazzi con meno di 25 anni: -1,2% nell’ultimo anno, che tradotti diventano 80mila posti di lavoro in meno.
Due velocità anche tra componente maschile e femminile del lavoro, -0,3% nell’anno facendo fermare il tasso di occupazione per gli uomini a 64,5% contro il +0,3% dell’occupazione femminile che, sebbene in crescita, occupa il 47,3% delle donne tra i 15 e i 64 anni.
I numeri non incoraggiano, soprattutto dopo lo slancio che le stabilizzazioni, prodotte dagli incentivi fiscali introdotti, avevano fatto registrare nel mercato del lavoro.
Dati che però il ministro Poletti legge utilizzando come chiave quella della ripresa economica. “I numeri di giugno confermano, che siamo di fronte a dati soggetti a quella fluttuazione che caratterizza una fase in cui la ripresa economica comincia a manifestarsi – ha spiegato – tanto che il tasso di occupazione resta sostanzialmente invariato”.
Effettivamente, l’occupazione generale nell’anno varia dello 0 per cento rispetto al precedente, fermandosi al 55,8%. Nel mese, però, si registra un calo dello 0,1%.
Chiede una “radicale modifica del jobs Act” Serena Sorrentino, segretario confederale della Cgil, che ritiene “ancora possibile intervenire radicalmente” sul provvedimento e “varare vere politiche attive, un sistema di ammortizzatori che risponda alle esigenze del mercato del lavoro e un piano che crei nuova occupazione”.
Il premier Matteo Renzi ha le idee chiare: “Il dato sull’occupazione continua ad avere aspetti positivi e negativi, straordinario ad aprile e poi negativo sia a maggio che giugno”. Il perché, secondo il capo del Governo è “abbastanza comprensibile” visto che “l’occupazione è l’ultima cosa che riparte dopo un periodo di crisi”.
Per il premier “con il Jobs Act abbiamo tra virgolette un po’ stimolato l’occupazione, abbiamo fatto un grandissimo investimento sui posti di lavoro e questo ha consentito di tornare al segno più” ma “resta ancora moltissimo da fare”.
E dal palco dell’Expo, lo stesso Renzi definisce una possibile strada per rilanciare la crescita occupazionale: “Con la cultura si può vivere e assumere persone e creare posti di lavoro”. ”In Italia abbiamo un piano per cui nei prossimi anni parte significativa del problema di disoccupazione giovanile deve venire affrontato con l’impiego nella cultura”, partendo proprio dalla assunzione di 100mila insegnanti fino alla creazione di nuovi posti di lavoro nella rete museale del Paese.
Le critiche non si sono fatte attendere.
Duro il leader di Azione Civile, Antonio Ingroia, secondo il quale il jobs act è un “capolavoro di inettitudine, a esser buoni” perché “anche con meno diritti c’e’ meno lavoro”.
Per il presidente dei deputati azzurri, Renato Bruetta, i numeri “inchiodano” Matteo Renzi, visto che ”tutti i segnali sono negativi e confermano le valutazioni del Fondo Monetario Internazionale sulla profondità della crisi italiana”.
Per il senatore Luciano Uras, capogruppo di Sel in commissione Bilancio, le “politiche economiche messe in atto fino ad ora sono state tutte fallimentari”.
Barbara Saltamartini, deputato della Lega Nord, critica via twitter: “disoccupazione giovanile 44,2%, record dal 1977. Ma Boschi ha coraggio di dire che gli italiani sono contenti Renzi ci ridurra’ peggio della Grecia”.
Il responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, spiega che gli effetti dell’occupazione si riscontreranno nella seconda metà del 2015: “quando l’economia si rimette in moto prima tornano al lavoro i cassaintegrati, poi si aprono gli spazi per i disoccupati. E’ ingiustificato – spiega – emettere giudizi definitivi sugli effetti della riforma del lavoro o della politica economica del Governo in questo momento”.
Guarda al futuro anche Fabrizio Cicchitto, deputato di Ap, che ritiene necessaria una “assoluta esigenza di una scossa al sistema economico e produttivo che vuol dire riduzione della pressione fiscale, tagli selettivi della spesa pubblica, estrema semplificazione dei vincoli amministrativi e burocratici”.
Solo ieri, però, i dati Svimez sul mezzogiorno hanno dato il riscontro di una difficoltà generalizzata del sistema economico: il Pil delle regioni del sud è sceso di 9,4 punti percentuali e un italiano su tre è a rischio povertà. Evidentemente, l’effetto benefico delle misure adottate si è andato allentando come una molla sotto trazione. Con ogni probabilità, è stato raggiunto il punto di massima estensione. Ora è il momento più delicato del percorso: controllare che la macchina inizi a muoversi davvero.
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