Dopo la gaffe, Barilla annuncia il cambio di strategia. Non perché ha vinto la potente “lobby” degli omosessuali, ma perché le scelte ideologiche non fanno bene al business.
Tutto è bene quel che finisce bene? Sembra di sì a giudicare dal comunicato della Barilla che, dopo le note polemiche sulle dichiarazioni del presidente del gruppo Guido Barilla, ci informa della volontà dell’azienda di cambiare passo sul tema della diversità.
Bisogna dire che il management è stato di parola. Nell’incontro da me promosso presso la regione Emilia Romagna assieme ad alcune associazioni nazionali lgbt con il vertice dell’azienda ci fu “promesso” un cambio sostanziale della strategia comunicativa incentrata fino ad allora sugli spot zuccherosi del “mulino bianco”.
Una campagna pubblicitaria che durava da anni e che aveva persino avuto l’apprezzamento del Moige (organizzazione cattolico integralista) che gli aveva rifilato il premio “conchiglia d’oro” per la promozione e la salvaguardia dei valori della famiglia tradizionale. Che è poi quello che aveva detto Guido Barilla nella famigerata trasmissione radiofonica de “La Zanzara”.
Il cambio quindi è arrivato sotto la forma del “Diversity e inclusion Board” nonché del “Diversity Chief Officer” che in altre aziende prende il nome di “Diversity manager”, una figura che ha il compito di garantire l’integrazione aziendale tra i dipendenti qualunque sia la loro identità (razziale, religiosa o di orientamento sessuale).
L’obiettivo è quello di rientrare nella classifica delle aziende più gay friendly dell’organizzazione americana Human Rights campain, il Corporate Equality Index, sulla scia di iniziative simili come quella già nota in Gran Bretagna gestita dalla locale organizzazione omosessuale Stonewall (nel suo elenco c’è anche la squadra di calcio Manchester City).
Un cambio di rotta radicale, quindi, dovuta all’enorme impatto negativo della dichiarazioni di Guido Barilla che hanno fatto capire all’azienda stessa il grande cambiamento intervenuto in questi anni in materia di famiglia e di relazioni tra le persone.
La famiglia tradizionale, quella composta da un uomo e da una donna regolarmente sposati più i parenti prossimi, è andata radicalmente trasformandosi con il cambiare del sistema economico e produttivo. Il venir meno del sistema tayloristico-fordistico di produzione che richiedeva molta forza lavoro con assunzioni che duravano per tutta la vita (e persino intere generazioni dentro la fabbrica) di fatto non esiste più.
I lavori di oggi sono precari, spesso le coppie hanno impieghi in zone diverse dal paese e occorre spostarsi di frequente per andare dove il lavoro c’è. Inoltra è diminuito drasticamente il numero dei componenti del nucleo familiare rispetto solo a qualche anno fa.
L’insieme delle nuove famiglie (coppie conviventi, coppie dello stesso sesso anche con figli, vedovi/e, singoli con figli o senza, famiglie ricostruite ecc) ormai supera in numeri assoluti di gran lunga la famiglia tradizionale.
In sostanza, e ce lo dice l’Istat, il 60% degli/delle italiani non vive più in un famiglia alla Mulino Bianco. Dire, come ha fatto Guido Barilla, che chi non condivide l’idea della famiglia tradizionale poteva comprare un’altra pasta poteva significare rinunciare a un gigantesco mercato composto dalla maggior parte della popolazione.
Non è mai saggio infatti precludersi quote di mercato in base ad un ragionamento ideologico ed è proprio questo che abbiamo detto al presidente dell’azienda in occasione dell’incontro con alcune associazioni lgbt da me promosso e non è saggio nemmeno escludere a priori tutti coloro che non condividono il messaggio pubblicitario proprio quando tutte le aziende moderne hanno al loro interno comitati etici che lavorano all’inclusione e all’integrazione.
È stato infatti ampiamente dimostrato che più un’azienda è aperta ed inclusiva e più è alta la produttività aziendale ed anche la reputazione e l’immagine ne guadagna, per non parlare dei rapporti tra i lavoratori stessi.
Mentre scrivo è in corso un’aspra polemica sul pomodoro “padano” e non si placano le discussioni sui sistemi semischiavistici di produzione in alcune megafabbriche asiatiche dove si fanno gli smartphone che abbiamo in tasca più o meno tutti.
E’ evidente che ormai, e per fortuna, c’è un’attenzione del consumatore al prodotto che ha in tasca, su come e da chi e in quali condizioni è stato assemblato. Non deve quindi meravigliare che le dichiarazioni “dal sen fuggite” di Guido Barilla abbiamo avuto un effetto fiammata in tutto il mondo occidentale con un fenomeno di attenzione mai visto prima.
Qualcuno ha parlato del potere della “potente” lobby omosessuale e onestamente molti di noi, me compreso, se ne sono anche compiaciuti, dopo secoli di persecuzioni e altri decenni di irrilevanza.
Tuttavia la rabbia planetaria suscitata dalle dichiarazioni alla Zanzara è fatta sì della reazione della comunità internazionale lgbt ma soprattutto da un diffuso sentire sul tema delle famiglie e dei rapporti di relazione tra le persone che sono profondamente mutati nel giro di appena 30 anni.
Anche gli eterosessuali infatti si riconoscono sempre più nell’idea che la legislazione sulle famiglie deve essere pluralista. Garantire cioè l’uguaglianza di trattamento tra coppie etero e coppie dello stesso sesso e nel contempo fare in modo che ogni tipo di famiglia sia riconosciuta e che ci siano più istituti giuridici validi per tutti dal matrimonio al Pacs ai patti notarili.
In modo tale che ognuno possa scegliere come meglio organizzare la propria vita in comune. E’ di questo sentimento comune che la Barilla ha preso atto dimostrando di saper trarre persino vantaggio da un momento di pesante defaillance rilanciando la propria immagine anche per fare meglio i propri interessi di mercato e magari dando una mano alle organizzazioni lgbt nella lotta all’omofobia e per il riconoscimento delle loro famiglie.
Ne guadagnano tutti, da una maggiore libertà, ed è bene che anche le altre aziende seguano l’esempio. Franco Grillini Presidente Gaynet Italia
Presidente di Gaynet Italia
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