Chiede “perdono” per le vittime degli attentati nell’Italia degli anni ’70 e ammette le proprie ”responsabilità politiche” per quella stagione. Ma ciò non equivale ad assumersi responsabilità “dirette” per quegli omicidi, né tanto meno a pentirsi.
In un’intervista all’Ansa, Cesare Battisti rievoca il suo tragico passato e racconta i progetti per il futuro e un presente vissuto in libertà, tre mesi dopo la sua uscita dal carcere di Papuda. Nelle parole dell’ex militante dei Proletari armati per il comunismo (Pac), condannato in Italia a quattro ergastoli, balenano spunti di “autocritica”, ma di pentimento non vuol sentire parlare. Appena viene pronunciato il termine, taglia corto e reagisce con enfasi: “E’ una parola che non mi piace, è una ipocrisia, è sinonimo di delazione, è legata alla religione”. Più volte però – durante l’intervista a Cananeia sul litorale paulista, nella casa di un vecchio amico che lo ospita tra poster del Che, di Marx e Lenin – l’ex terrorista dice di aver “voltato pagina da tempo”, fin dal periodo della fuga in Messico, rispetto ai “due anni” in cui militò nei Pac. E assicura di essere pronto ad “una riconciliazione”. L’autocritica si concentra soprattutto sulla lotta armata: “Alla luce di oggi, illudersi che si potessero cambiare le cose in Italia così è stato un errore”, ammette. Ma difende senza batter ciglio le sue fughe all’estero, dalla Francia, al Messico, al Brasile. Altrimenti, dice, “avrei rischiato di pagare con l’ergastolo in Italia delitti che non ho mai commesso”. Poi sopraggiunge la malinconia. “Mi porto dentro l’Italia del passato – dice l’ex terrorista – quella che ancora sognava, un paese che lottava per la giustizia”. “Ho tanti ricordi visto che dall’Italia sono uscito non da bambino ma da adulto. Là c’é la mia infanzia, la mia famiglia”. Ma è un attimo, e Battisti inizia a parlare del futuro. “In queste ore ho ricevuto il contratto dalla casa editrice di San Paolo per la quale pubblicherò il mio ultimo libro ‘Ai piedi del muro'”. E grazie ai documenti ottenuti ad agosto dalle autorità brasiliane, racconta, fra qualche giorno riuscirà ad aprire un conto corrente a San Paolo. Come rifugio provvisorio dice di aver scelto proprio Cananeia – paesino isolato sul lungomare paulista – per poter sfuggire alla stampa, o quanto meno “a gran parte di essa, che è il mio avversario di oggi. In questi ultimi tempi sono stato trattato come il mostro da sbattere in prima pagina”. La casa che lo ospita da qualche giorno è di Magno de Carvalho, sindacalista e prigioniero politico durante il periodo della dittatura in Brasile: un’abitazione spartana arredata da mobili semplici e da diversi poster politici, dal ‘Che’ Guevara a Marx, a un “affiche” con la scritta ‘Forza Palestina’ e un altro con l’immagine de ‘Il quarto stato’. Durante l’intervista appare brevemente Joyce, la fidanzata nata in quella Rio de Janeiro dove l’ex terrorista non nasconde di voler vivere. Vestita di bianco, la giovane Joyce si trattiene solo un istante – il tempo di salutare – e sparisce velocemente. Impossibile scattare una fotografia ai due insieme. Il “no” di Battisti è perentorio.
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