I giocatori olandesi ringraziano i propri sostenitori
Dieci minuti. Il più lungo intervallo di tempo in cui un paese, meglio un subcontinente, ha trattenuto il fiato. Il tempo intercorso tra il legno colpito da Pinilla all’ultimo minuto dei tempi supplementari e quello colto da Jara nell’ultima esecuzione della lotteria dei rigori. Alla fine, il paese, meglio il subcontinente ha potuto tirare un sospiro di sollievo. Il Brasile ha sofferto le pene dell’inferno e visto le streghe nel derby tutto sudamericano contro il Cile ma ce l’ha fatta. Va ai quarti. E in un certo senso, e senza nulla togliere ai meravigliosi giocatori e tifosi andini, il Mondiale (inteso come atmosfera di festa popolare) può ancora esibire i colori dei suoi milioni di appassionati che questa infinita terra offre. Ma quanta, troppa sofferenza! Due legni hanno impedito che, a 64 anni distanza, al “Maracanaço” si aggiungesse il “Mineiraço”.
Julio Cesar abbracciato dai compagni
Brasile-Cile è stata una partita tra una squadra vera, quella di Sampaoli, e una sommatoria di molte individualità, una sola delle quali (Neymar) di classe cristallina e nell’occasione anche un pò appannata. Sul piano del gioco, un confronto addirittura impari, tanta è stata la differenza in termini di organizzazione e coralità della manovra in favore dei cileni. Ma, alla fine, è passato il Brasile. E non è un’ingiustizia assoluta. Perchè i padroni di casa, pur nel loro caos e pur ulteriormente ridimensionati da una tensione che con il passare dei minuti diventava parossistica, hanno avuto molte più chances di andare in rete nei 120 minuti. E il portiere cileno, Bravo di nome e di fatto, è stato il migliore in campo prima della lotteria dei rigori. In realtà, Bravo è stato tale anche durante l’appendice dagli undici metri (ha parato l’esecuzione di Hulk), ma il suo collega, il “vecchio” (quasi 35 anni) Julio Cesar lo è stato anche di più neutralizzandone ben due (quelli di Sanchez e Pinilla). La differenza, al netto dell’errore di Willian, l’ha fatta il palo interno con sfera schizzata via, colpito da Jara. Tempi regolamentari e supplementari si erano chiusi sull’1-1 con vantaggio brasileiro firmato da David Luiz (sempre più il leader carismatico dei suoi) con una deviazione sotto misura a seguito di tiro dalla bandierina al 18′ e pareggio a firma Alexis Sanchez, formidabile per tutta la gara e glaciale nell’occasione (come non lo sarebbe stato dagli undici metri dopo) fornitagli su un piatto d’argento da una fesseria colossale di Hulk (un retropassaggio insensato oltre che mal eseguito) al 32′. In mezzo, un caleidoscopio di emozioni ma anche tanta confusione verdeoro. E adesso, in Brasile tutta l’attenzione si focalizza sulla caviglia malconcia (si è gonfiata dopo la partita, possibile contusione) di un O Ney, come detto tutt’altro che trascendentale in partita e quasi mai in grado di superare il marcatore di turno, ma freddo come un veterano nella lotteria dei rigori: suo l’ultimo centro brasiliano. Si pensa, comunque, che per il quarto di venerdì possa farcela. La sua presenza sarebbe di capitale importanza perchè, al momento, la Colombia, prossimo ostacolo lungo la via dell'”hexa”, è tecnicamente molto superiore al Cile. E anche allo stesso Brasile, diciamolo pure. Un subcontinente, in apprensione per la sua stella, continua a trattenere il fiato.
James Rodriguez ha appena esploso il siluro dell’1-0
La Colombia, invece, ha ottenuto il diritto a contendere al Brasile un posto in semifinale grazie al 2-0 rifilato all’Uruguay al Maracanà. Vittoria netta, ma non nettissima. La differenza tecnica tra le due formazione c’è ed è notevole. Ma si è vista solo in parte. Merito di un Uruguay autore dell’ennesima prova d’orgoglio che ha consentito alla Celeste di vendere carissima la pelle anche se l’assenza di Suàrez non poteva non farsi sentire e il logoro Forlàn non poteva essere un adeguato sostituto. Colombia a lungo imbrigliata ma un nuovo fuoriclasse (giusto azzardare tale definizione nonostante i suoi 22anni) ha scavato il solco decisivo tra le due contendenti spaccando in due il match: James Rodriguez , giovane asso del Monaco, ha trovato prima il coniglio dal cilindro con un’esecuzione da antologia da fuori area, mirabile connubio di tecnica, rapidità e potenza, poi il più semplice appoggio per il raddoppio che ha quasi chiuso il match al termine di un’azione corale da manuale con cross di Armero, sponda aerea di Cuadrado e finalizzazione del nuovo capocannoniere del Mondiale (5 centri totali e in rete almeno una volta in ognuna delle quattro partite giocate). Match quasi chiuso solo perchè l’infinito carattere degli uruguaiani ha poi costretto anche il portiere colombiano, Ospina, a fare gli straordinari perchè la partita non si riaprisse. Brasile-Colombia sarà un quarto tutto da gustare e, se si giocasse in qualsiasi altro angolo del pianeta, sarebbero i “cafeteros” i favoriti. A proposito di fattore campo, giusto sottolineare l’impeccabile direzione di gara dell’inglese Webb. Non semplice decidere di annullare (giustamente) il gol di Hulk.
Arjen Robben vola con la sua Olanda ai quarti
Olanda-Messico. Era una partita da tripla e tale si è confermata. Anzi, per un tempo abbondante, è stata la squadra centroamericana a fare l’Olanda della situazione e a menare le danze. Europei lenti e impacciati, Messico spumeggiante e molto più pericoloso nei propri raid offensivi. Cillessen, il portiere arancione, impegnato in più di un’occasione (e in alcune anche piuttosto incerto), il suo dirimpettaio Ochoa quasi del tutto inoperoso (avrebbe dato spettacolo nella ripresa). Poi, il lampo di Giovanni Dos Santos in apertura di ripresa per l’esultanza di un tecnico, Herrera, al cui cospetto Galliani sembrerebbe un appassionato tiepido. Considerato il caldo (esordio mondiale per il time out, chiamato “cooling break”) e l’orario pomeridiano, si sarebbe potuto ipotizzare un crollo degli uomini di Van Gaal che, invece, scossi dallo schiaffone, si sono svegliati dal torpore reagendo da veri campioni. A posteriori, l’incredibile ribaltone consumatosi tra l’88’ e il 94′, con i messicani passati in un amen dall’estasi alle lacrime a dirotto, è stato legittimato da un secondo tempo davvero veemente dei vicecampioni del Mondo. Su tutti, due fuoriclasse: uno, Robben, tra i migliori durante l’arco di tutto il torneo, ha “martellato” la difesa messicana, stordendola a suon di accelerazioni e frenate e procurandosi, poi, il rigore decisivo (netto quanto ingenuo il fallo di Marquez) a due minuti dallo scadere del recupero; l’altro, Sneijder, buono ma ma non trascendentale finora, è tornato d’incanto ai livelli di quattro anni fa in Sudafrica quando trascinò di peso i suoi in una cavalcata interrotta solo da Iniesta in finale quando i rigori sembravano epilogo inevitabile. Bello quanto rabbioso il bolide con cui ha trasformato nell’oro del pareggio una respinta corta della difesa della “Tri”. A decidere un’altra nostra vecchia conoscenza, Klaas- Jan Huntelaar, glaciale nel realizzare il penalty che ha perfezionato la clamorosa rimonta. Quest’ Olanda di Van Gaal è l’arancia meno meccanica di cui si abbia memoria, spesso disposta a lasciar campo agli avversari, capace anche di chiudersi e ripartire (cioè eresie per il calcio dei tulipani), ma è una squadra con un’anima. Sa soffrire, rialzarsi e fare male. Un’eventuale semifinale con l’Argentina (o, perchè no, un derby con i cugini belgi) sarebbe da palati fini.
I Ticos e i loro tifosi: una favola da condividere
Chiudiamo con l’ultimo ottavo andato in scena tra Costa Rica e Grecia. Prosegue la favola di quella che, nel nostro girone, quello definito “della morte”, doveva essere il vaso di coccio e che, invece, sta dimostrando che la scritta “fragile” era apposta su maglie altrui. La Costa Rica, dopo 120 minuti e coda dei rigori, ha centrato il primo quarto di finale della propria storia (migliorato l’ottavo di finale di Italia ’90), dopo una partita non bella come gli altri tre ottavi ma decisamente intensa anche per merito di una Grecia, squadra tecnicamente modesta ma con un cuore grande così e che, alla luce di quanto visto, avrebbe meritato miglior sorte. Primo tempo di una noia mortale con un’unica, gigantesca occasione per i nipotini di Omero con Salpingidis fermato da Navas che sarà, e per dispersione, il migliore in campo. Ripresa con gli ellenici più propositivi ma confusi e Ticos con il merito di trovare la rete al primo affondo con un colpo da biliardo di quel Ruiz che già ci aveva castigato. Grecia poi graziata dall’arbitro Williams che riesce a non vedere un mani di Torosidis. Poi, vuoi per il punteggio vuoi per la superiorità numerica generata dall’espulsione al 21′ di Duarte, la partita si trasforma in un assedio degno di Fort Alamo e il pareggio, meritato, arriva al 91′ con l’ex Genoa e Milan Papastathopoulos, lesto a insaccare una corta respinta di Navas su conclusione di Gekas. Nei supplementari l’arrembaggio greco prosegue ma un pò per sfortuna un pò per la bravura di Navas che chiude la saracinesca, la Costa Rica, visibilmente scioccata dal pari quando sentiva già l’odore dei quarti di finale, riesce a rimanere in piedi. Barcollante, ma non k.o. Ai rigori, fanno centro tutti, salvo Gekas. La favola dei Ticos prosegue, quella ellenica di ripetere Portogallo 2004 svanisce.
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