I terroristi responsabili degli attentati di martedì scorso a Bruxelles sono almeno quattro. Due di loro, quelli che si sono fatti saltare in aria, sono stati identificati: Khaled el-Bakraoui, che ha attaccato la metropolitana, e suo fratello Ibrahim el-Bakraoui, che si è immolato con un terzo uomo all’aeroporto di Zaventem. Il coinvolgimento dei fratelli Bakraoui è stato confermato dalla Procura federale belga.
Secondo il sito del quotidiano De Standaard, che cita “fonti affidabili”, il terzo attentatore suicida sarebbe Najim Laachraoui, l’artificiere della cellula belga coinvolto anche negli attentati dello scorso 13 novembre a Parigi, riconosciuto con l’esame del DNA. Ma in aeroporto c’era un quarto uomo, con cappellino e giacca chiara, ripreso insieme ai due terroristi suicidi dalle telecamere di sicurezza. E c’era un’altra persona insieme a Khaled el-Bakraoui nel tunnel della fermata di Maelbeek: anche lì è stato immortalato dalle telecamere, mentre porta un borsone. A dare la notizia è stata RTBF, la tv di Stato belga in francese. Gli inquirenti stanno ancora cercando di capire se si tratti dello stesso uomo, e in questo caso se sia morto nella metro o riuscito a scappare.
Secondo la tv di Stato francese, Ibrahim Bakraoui avrebbe registrato un audio-testamento su un pc ritrovato in un cassonetto fuori dal suo covo di Schaerbeek. Il jihadista dice di voler agire per “vendicare l’arresto di Salah Abdeslam”, arrestato venerdì scorso. Ma in un altro file, aggiornato dopo l’arresto di Abdeslam, scrive di non sentirsi più al sicuro, di non sapere cosa fare, di essere assalito dai dubbi. E afferma di non volersi ritrovare “in una cella vicina alla sua”.
Il quotidiano La Dernière Heure ha pubblicato un altro elemento in esclusiva: i fratelli Bakraoui avevano installato una macchina fotografica nascosta di fronte alla casa del direttore del programma di ricerca nucleare belga. Dopo il 13 novembre, i fratelli tornarono a riprendere l’apparecchio, il che suggerirebbe l’esistenza di qualche legame fra le azioni dei terroristi in Francia e in Belgio. Un video di 12 ore girato lì sarebbe stato recuperato dagli agenti a dicembre, durante una perquisizione. Il sospetto è che i jihadisti volessero attaccare una delle due centrali nucleari in funzione in territorio belga, a Doel, alla periferia di Anversa, e Tihange, nei pressi di Liegi.
Intanto a Bruxelles continuano le operazioni di riconoscimento delle vittime degli attentati, il cui numero è salito a 32: un corpo senza vita è stato ritrovato sotto un cumulo di detriti nell’aeroporto. Entro ieri sera erano state riconosciute solo tre persone. Risulta ancora dispersa anche Patricia Rizzo, l’ex funzionaria italo-belga della UE che con ogni probabilità è rimasta coinvolta nell’attentato in metropolitana.
Le persone rimaste ferite negli attacchi sono 300, di cui 61 “in condizioni gravi”. “Le ferite più gravi sono le ustioni provocate da una forte esplosione e dalle schegge di metallo”, ha detto alla stampa il ministro della Salute Maggie de Block.
Oggi la polizia belga ha compiuto un blitz nella zona della Chaussée d’Ixelles, a Bruxelles. Testimoni sostengono di aver assistito all’arresto di un uomo e alla perquisizione della sua automobile. Secondo l’agenzia Belga, la zona è stata evacuata e circondata con un perimetro di sicurezza.
Da martedì scorso, però, tutta Europa parla delle mancanze nella coordinazione fra le polizie e i servizi segreti nazionali, che il presidente del Copasir Giacomo Stucchi ha definito “incapacità imbarazzanti”. Nelle ultime ore le autorità di Belgio e Turchia si sono scambiate accuse sui precedenti penali dei fratelli Bakraoui. Ibrahim era stato arrestato in Turchia l’estate scorsa, mentre provava ad attraversare il confine con la Siria nella provincia di Gaziantep. Ankara aveva avvertito Bruxelles di aver catturato un foreign fighter, ma una volta in Belgio era stato scarcerato per mancanza di prove. Il ministro della Giustizia Koen Geens, invece, sostiene che Bakraoui sia stato estradato in Olanda anziché in Belgio. Su suo fratello Khaled – ma non su di lui – l’Interpol aveva diramato a tutte le polizie del mondo un allarme “di livello rosso”, come ha scritto il New York Times.
Oggi, proprio a Bruxelles, si terrà un vertice straordinario dei ministri dell’Interno dei 28 stati UE. Si parlerà di come sono applicate le norme antiterrorismo nell’Unione, e la questione della coordinazione internazionale – e in alcuni casi anche nazionale – sarà sicuramente tra le più dibattute. Il presidente della Commissione UE Jean-Claude Juncker ha accusato i governi di non fidarsi abbastanza gli uni degli altri, e insieme al primo ministro francese, Manuel Valls, ha ricordato che la cooperazione fra i servizi segreti europei “era già stata decisa nel 1999” e “ribadita nel 2001”, dopo l’11 settembre.
Ma ancora non si fa, per ragioni che mi sfuggono, anche se è evidente che la nostra conoscenza degli altri paesi è imperfetta.
“Se fosse stato messo in atto tutto quanto avevamo deciso già lo scorso anno, avremmo potuto essere più efficienti”, rimarca il Commissario UE agli Affari interni, Dimitris Avramopoulos.
L’Italia sembra sposare la linea di Juncker: “Nessuno di noi deve essere geloso delle proprie informazioni”, ha detto il ministro dell’Interno italiano Angelino Alfano. Storicamente contrari a far accedere gli altri Stati ai propri archivi segreti, invece, sono Francia e Regno Unito. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha ripetuto un appello già circolato in passato a creare un superservizio segreto UE, un equivalente comunitario dell’FBI. “Occorre stringere sui meccanismi di intelligence tra i paesi europei e non solo, valorizzare Europol, lavorare su una struttura condivisa”, ha detto ieri nell’incontro con i capigruppo a Palazzo Chigi.
Bruxelles insiste anche sulla necessità di non confondere la questione di sicurezza sollevata dal terrorismo con la crisi migratoria. Ieri ne hanno parlato Juncker, Avramopoulos e la vicepresidente del Consiglio UE Kristalina Georgieva. E immediatamente la premier polacca Beata Szydlo ha replicato: “Dopo quanto accaduto ieri a Bruxelles non siamo d’accordo nell’accogliere alcun gruppo di migranti”.
Gli attentati di Bruxelles hanno avuto anche l’effetto collaterale di far chiudere nel silenzio Salah Abdeslam. Lo ha riferito il suo legale, Sven Mary, in una conferenza stampa improvvisata fuori dalla camera di consiglio del Tribunale di Bruxelles che oggi avrebbe dovuto convalidare l’arresto del suo assistito. La decisione, invece, è stata rinviata al 7 aprile.
Abdeslam non sapeva niente degli attentati di martedì scorso, secondo quanto ha detto il legale, e vorrebbe essere estradato in Francia “prima possibile”.
Mary ha riferito di essere stato aggredito ieri da uno sconosciuto che lo accusava di stare difendendo un terrorista. L’episodio non ha avuto conseguenze per l’avvocato, che però ha comunque deciso di chiudere l’ufficio per non esporre a rischi i suoi collaboratori.
F.M.R.