“Se il tappo è Orfini, allora si dimetta da commissario”. Dopo il disastro delle comunali, in casa Pd è tempo di riflessioni. Dopo quelle dell’ex premier, oltre che uno dei padri fondatori del partito, Romano Prodi, e i commenti del capogruppo dem alla Camera, Ettore Rosato, anche Marianna Madia, ministro senza portafoglio per la semplificazione e la pubblica amministrazione, affida a Repubblica quelle che sono le possibili chiavi di lettura della deludente prova compiuta dal Partito alle comunali appena trascorse.
“Il voto ci dice una cosa chiara: nella mia città, che non è l’ultimo borgo d’Italia, siamo stati rottamati dai cittadini. Il Pd non ha saputo ascoltarli. E ci hanno punito”, commentando in primo luogo la vittoria dei Cinquestelle a Roma, dove la Madia è nata e cresciuta.
“A Roma i numeri sono talmente chiari e violenti che è inutile cincischiare: o il Pd si libera dalle piccole e mediocri filiere di potere che lo tengono ancora in pugno e torna per strada, ad ascoltare i cittadini, i loro problemi e necessità, oppure muore”.
Il Partito “Deve aprirsi, rinnovarsi. Nella capitale siamo stati travolti. E oggi siamo in mare aperto. Che però può essere un’opportunità” ha aggiunto il ministro, che vede nell’assoluta necessità di cambiamento la possibilità di evitare che una sconfitta “locale” si trasformi in una debaclè a livello nazionale. Certo, che il risultato di queste elezioni, che hanno segnato il trionfo dei Cinquestelle, abbia rappresentato un duro colpo alla credibilità del Partito democratico è fuori dubbio.
E se Roma è la ferita più grande (ma c’è anche la vittoria della grillina Chiara Appendino a Torino), allora che il cambiamento parta da lì, dal Pd romano commissariato nel 2014, travolto dall’inchiesta di Mafia Capitale: “In questo momento tutti gli schemi di gioco sono saltati. Bisogna avere l’umiltà di riconoscerlo. Se il tappo è Orfini [Matteo Orfini, presidente del Pd n.dr] allora si dimetta da commissario. Non ci possiamo più permettere ostacoli al cambiamento. In città c’è una classe dirigente giovane, agisca. Ma senza aspettare che qualche capo corrente la candidi”.
Ettore Rosato, capogruppo dem alla Camera, parla allude ad una “cura” per un Pd malato, prostato ma non spezzato: “C’è bisogno di una cura interna, di un rafforzamento del gruppo dirigente, di sentirsi tutti di più a casa propria nel partito. Ma penso che la cura debba essere anche esterna. Non possiamo ridurre la crisi che stiamo attraversando a una questione di organigrammi, che peraltro interessa poco ai nostri elettori. C’è un problema di come rappresentiamo fuori le cose che facciamo”.
Molti, riferendosi alle comunali 2016, hanno parlato della vittoria del “nuovo” contro il “vecchio” (vecchio sistema dei partiti ma anche vecchi volti, sempre gli stessi da decenni). Per Rosato però questa chiave interpretativa non convince del tutto: “A Benevento ha vinto Clemente Mastella, che di certo non è un personaggio politico nuovo. A Milano la competizione tra Sala e Parisi si è svolta su un terreno di merito, sul piano dei contenuti. E per noi questo ha pagato”.
“Non è solo una questione di volti nuovi, che pure hanno la loro importanza – ha aggiunto il capogruppo dem – Il problema di fondo è la costruzione di un rapporto più solido con i propri concittadini. E il Pd deve ricostruire questo rapporto lì dove si è sfilacciato”.
Il primo a riflettere su questa “esplosione del mappamondo politico”, come l’aveva definita il giornalista di Repubblica, Michele Smargiassi è stato però l’ex premier e fondatore dell’Ulivo, Romano Prodi. Anche per lui, come per Rosato, più che le persone è necessario mutare le idee alla base o almeno i modi per veicolarle. Bisogna “Cambiare politiche, non solo politici. Se non cambiano le politiche, il politico cambiato si logora anche in due anni”.
“Non basta guardare il voto di questa o di quella città. C’è un’ondata mondiale, partita in Francia, ora in America – ha continuato Prodi – Lo chiamano populismo perché pur nell’indecifrabilità delle soluzioni interpreta un problema centrale della gente nel mondo contemporaneo: l’insicurezza economica, la paura sociale e identitaria”.
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