Qualche decennio fa in Italia anziani e disabili venivano accuditi all’interno del nucleo familiare. Allora la donna lavorava per lo più solo in casa, motivo per cui era consuetudine che si prendesse cura anche della o delle persone, genitori o suoceri, non più autosufficienti. Poi, dal 1992, la legge 104, stabilito il riconoscimento della condizione di portatore di handicap da parte di una apposita commissione sanitaria, ha decretato che a loro ed ai familiari che se ne occupano siano riconosciute determinate agevolazioni sia nel lavoro (permessi retribuiti) sia fiscali.
Di necessità virtù, e oggi che l’aspettativa di vita si è incredibilmente allungata, che il lavoro scarseggia e con esso anche la possibilità di permettersi assistenti o badanti, il welfare italiano è sempre più ‘fai da te’. Ovvero, un numero crescente di famiglie si fa carico della cura di parenti bisognosi di assistenza.
Se si guarda agli ultimi dati Inps sulle richieste di congedo in forza della legge 104, si vede come siamo passati dai 218.700 permessi concessi del 2010 agli oltre 319.800 del 2014: un po’ meno del 50% di aumento (+46,2%). In altri termini il nostro Servizio Sanitario Nazionale al quale – come ha dichiarato recentemente il presidente dell’Authority Raffaele Cantone – corruzione e frode hanno sottratto 6 miliardi di euro che diversamente sarebbero potuti servire all’assistenza dei malati, attualmente può contare sulla prestazione d’opera di oltre 3 milioni e 300 mila persone di professione caregiver familiari. Sono uomini, ma soprattutto donne (63,4%), che senza alcuna retribuzione fanno dell’assistenza a padri e madri (49,6%) o al proprio coniuge-partner (34,1%) la propria professione. Occupandosi di loro, in media per circa 18 ore al giorno (7 di cura diretta e 11 di sorveglianza), in un anno i caregiver italiani prestano assistenza per oltre 7 miliardi di ore, che si traducono in un risparmio effettivo per il SSN, in aggiunta agli oltre 10 miliardi che le famiglie pagano annualmente per lavoro privato di cura e le cosiddette spese ‘out of pocket’ (spese sanitarie, farmaci, ausili/attrezzatura e così via) che hanno superato i 33 miliardi annui.
I caregiver al momento sono persone senza voce. Ma si avanzano proposte di legge, sostenute dalle molteplici associazioni di volontariato impegnate nel settore, per riconoscere loro il ruolo di chi si prende cura di un proprio caro. La necessità della tutela a livello legislativo di questa nuova figura professionale emerge anche dall’impatto sul lavoro che comporta l’assistenza quotidiana di un familiare: il 66% dei caregiver ha dovuto abbandonare la propria posizione lavorativa, rimanendo di conseguenza in media fino a 10 anni fuori dal mercato del lavoro. Si aggira invece sul 10% la percentuale di chi ha richiesto il part-time o ha dovuto cambiare professione. Una situazione che diventa drammatica quando la perdita totale del salario o la riduzione delle ore lavorative, in aggiunta ai costi di cura sempre più elevati, ha ripercussioni dirette sul reddito delle famiglie, aumentando il rischio di povertà. C’è anche una percentuale di studenti, superiore al 20% , che ricopre il ruolo di caregiver di un familiare adulto. Essere un giovane caregiver comporta conseguenze sul rendimento scolastico, sulle relazioni con i coetanei ed espone anche al rischio di sviluppare malattie: se negli adulti che accudiscono familiari bisognosi è stato riscontrato il doppio di probabilità di avere problemi di salute, si può arrivare fino al triplo quando si tratta di ragazzi tra i 18 e 25 anni.
Il tema sarà discusso durante Exposanità in programma dal 18 al 21 maggio a Bologna.
Giornalista per caso. Anni di ufficio stampa in pubbliche istituzioni, dove si legge e si scrive solo su precisi argomenti e seguendo ferree indicazioni. Poi, l'opportunità di iniziare veramente a scrivere. Di cosa? di tutto un po', convinta, e sempre di più, che informare correttamente è un servizio utile, in certi casi indispensabile.
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