Avrebbero comprato la salvezza del Catania, che rischiava di retrocedere in Lega Pro, corrompendo i giocatori delle squadre avversarie. Sono queste le accuse che hanno portato all’arresto di tre alti dirigenti della società rossoazzurra, il presidente Antonino Pulvirenti, l’amministratore delegato Pablo Cosentino e l’ex direttore sportivo Daniele Delli Carri, accusati di truffa e frode sportiva.
L’inchiesta I treni del gol, che ha punti di contatto con quella condotta dalla Procura di Reggio Calabria e battezzata Dirty Soccer, fa gridare di nuovo allo scandalo i vertici dello sport italiano – appena un mese dopo l’inchiesta calabrese sulle scommesse – e getta un’ombra sulla regolarità del campionato appena concluso di serie B.
Le indagini della Procura della Repubblica di Catania si concentrano su cinque partite dello scorso campionato di serie B: Catania-Livorno, Catania-Trapani, Catania-Latina, Catania-Ternana e Catania-Livorno, mentre su una sesta partita, Catania-Avellino, in questo momento non ci sono altro che sospetti. Un’altra partita che ha attirato l’attenzione degli inquirenti è Messina-Ischia, valida per il campionato di Lega Pro.
Oltre ai tre dirigenti del Catania, sono state arrestate altre quattro persone accusate di frode: Piero Di Luzio, Fabrizio Milozzi, il procuratore sportivo Fernando Arbotti e l’agente di scommesse online Giovanni Impellizzeri.
Sono indagati a piede libero i calciatori Alessandro Bernardini del Livorno, Riccardo Fiamozzi del Varese, Antonio Daì del Trapani e Matteo Bruscagin del Latina, mentre non risultano indagati tesserati del Catania. Nel registro sono finiti invece il patron del Messina Pietro Lo Monaco, l’ad Alessandro Failla e il direttore sportivo Fabrizio Ferrigno.
Il procuratore Giovanni Salvi ha fatto il punto delle indagini in una conferenza stampa. Tutto sarebbe iniziato lo scorso marzo, dopo una partita persa in casa contro la Virtus Entella. La sconfitta fece sprofondare il Catania in zona retrocessione e scatenò l’ira degli ultras, che arrivarono a minacciare Pulvirenti.
Il presidente, ricostruiscono gli inquirenti, avrebbe deciso allora di intervenire di persona per ottenere i risultati che la squadra da sola non riusciva a raggiungere. L’arma segreta di Pulvirenti sarebbero state le mazzette, dai dieci ai ventimila euro, promesse a giocatori delle squadre avversarie per “aggiustare” i risultati.
Arbotti avrebbe fatto da mediatore, mentre Impellizzeri avrebbe fornito i contanti, che recuperava, secondo la Procura, attraverso le scommesse a colpo sicuro sulle partite truccate.
È proprio attraverso le scommesse che l’inchiesta di Catania si salda con quella di Reggio Calabria.
Anche allora era stato fatto il nome della società etnea: in una telefonata intercettata, il dirigente del L’Aquila Ercole Di Nicola informava il finanziatore Edmond Nerjaku di stare “lavorando” sul risultato di Catania-Crotone. Il match si giocò il 16 febbraio, un mese prima che la curva dichiarasse guerra a Pulvirenti.
Anche gli inquirenti siciliani hanno fatto ampio uso di intercettazioni telefoniche. Dalle registrazioni sono riusciti a decodificare il pittoresco cifrario usato dagli indagati, che fingevano di parlare di “treni in arrivo”, le partite combinate, mentre gli “orari” indicavano il numero di maglia dei giocatori avvicinati.
Il legale di Pulvirenti Giovanni Grasso ha dichiarato che il suo assistito è “certo di potere dimostrare la totale estraneità ai fatti”. Anche il Messina, attraverso un comunicato firmato dall’ad Failla, giura sulla “totale estraneità ai fatti contestati” e promette “la massima disponibilità a collaborare con l’Autorità Giudiziaria”.
Il presidente della Lega di Serie B Andrea Abodi ha espresso il suo “grande dolore” ai microfoni di Sky: “Questa è una notizia che ci lascia sgomenti”.
L’inchiesta di Catania, secondo Abodi, non invaliderà il campionato appena concluso: “Per definizione la responsabilità è individuale, quindi risponde chi paga”.
Imbarazzata anche la reazione del presidente del CONI, Giovanni Malagò: “Non c’è mai limite al peggio”.
Filippo M. Ragusa
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