12 settembre 1919-2019. Oggi è il centenario dell’impresa fiumana con cui Gabriele D’Annunzio e i suoi legionari riportarono la città di Fiume all’Italia. Un poeta soltanto, e tanti volontari, sfidarono da soli tutto il mondo per l’onore d’Italia. E vinsero.
La storia che vede il Vate correre in aiuto della città ha inizio nel momento in cui implode l’impero austro-ungarico nel 1918. Fiume era una città alla deriva, nella quale non si costruisce e non c’è più industria. Ma il problema per i cittadini, per la maggior parte italiani, non è tanto la mancanza di ricchezza tanto il timore che la città diventi jugoslava.
Furono i fiumani a chiamare il Vate quando per la città le cose si erano messe assai male perché nella spartizione tra i due Regni italiano e jugoslavo, Fiume era rimasta oltre confine non essendo negli accordi del Patto di Londra. E’ allora che chiamano D’Annunzio per realizzare un colpo di mano. Il Vate ha 56 anni ed è già un eroe. Migliaia di soldati e civili seguono D’Annunzio: una Caporetto alla rovescia perché quelli che dovrebbero fermarlo si ammutinano per seguirlo. Li spinge lo spirito patriottico, la volontà di riscattare quella vittoria mutilata che per il Vate è colpa del governo di allora.
L’occupazione dei “legionari” dannunziani dura 16 mesi con alterne vicende. Il Natale di sangue del 1020 è l’ultimo capitolo dell’impresa di Fiume. Il sogno di D’Annunzio di una rivoluzione che avrebbe dovuto colpire l’ordine costituito e rovesciare il governo di Francesco Saverio Nitti va in frantumi quando la corazzata Andrea Doria apre il fuoco contro il palazzo del Governo. A quel tempo la popolazione di Fiume era di 60mila anime: 40mila italiani. Poi la caduta della città portò all’esodo della maggioranza della popolazione.
Il racconto dell’impresa dannunziana a Fiume per molto tempo è stato ridotto a un’anticipazione del fascismo. La memoria di quei 16 mesi relegata ai margini. Una storia rimossa e maledetta nella Jugoslavia comunista. A cento anni da allora, in Italia gli storici oggi si confrontano sulla complessità e la ricchezza di quella pagina di storia. Nella città definitivamente croata, capitale della cultura nel 2020, che rivendica la sua identità plurale, sono tornati i nomi originali di strade e piazze che raccontano l’anima italiana della città. E presto si vedranno anche i cartelloni bilingue all’ingresso del comune. Non sarà più solo Rijeka, ma anche Fiume, dopo una battaglia lunga anni da parte della Comunità degli italiani fiumani, che non hanno mai visto il riconoscimento ufficiale del bilinguismo nella loro città.
Oggi Fiume non celebra D’Annunzio ma lo ricorda con una mostra nel Palazzo del Governo che racconta l’impresa del Vate attraverso le donne, quelle che lo seguirono, l’amante Luisa Baccara e la testimonianza di una ragazza croata, la curatrice la storica Tea Perincic.
In Italia, a Trieste, città dove il poeta visse la sua prima pericolosa impresa aerea durante la guerra, la mostra ‘Disobbedisco’ narra la Rivoluzione dannunziana attraverso gli oggetti e le parole dei protagonisti in una ricostruzione emozionale delle atmosfere e delle testimonianze di coloro che vi parteciparono. Il percorso si snoda all’interno di colossale dirigibile in pelle metallica dall’aspetto indefinito, a metà strada tra un aeromobile e un sottomarino. Questo curiosissimo gigante ricorda i mezzi utilizzati nelle imprese eroiche del Poeta. La mostra rimane aperta fino al 3 novembre 2019.
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