L’attentatore che lunedì sera ha ucciso 24 persone a Manchester si chiamava Salman Abedi. Aveva 22 anni ed era inglese: era nato proprio a Manchester nel 1994. Ancora una volta, quindi, non un migrante, ma un giovane emarginato, indottrinato e carico d’odio per il Paese dov’era nato e cresciuto.
A emigrare erano stati i suoi genitori, rifugiati scappati dalla Libia per sfuggire al regime di Gheddafi. Lo ha riferito il capo della polizia cittadina, Ian Hopkins.
Salman Abedi era legato all’ISIS ed era stato in Siria. Lo ha detto Gérard Collomb, il nuovo ministro degli Interni francese, in un’intervista a BFM TV. Il ministro ha aggiunto che è ancora incerto se abbia agito da solo o di concerto con una rete più ampia di attentatori.
“Era partito per la Libia tre settimane fa”, ha detto invece un suo amico al Times, “ed era tornato di recente, da qualche giorno”.
Sul suo conto i giornali hanno pubblicato numerosi “dettagli riservati”: troppi, secondo lo Home Office, fatto per il quale il ministro dell’Interno inglese, Amber Rudd, ha puntato il dito contro gli USA.
Una fonte di polizia ha detto al New York Times che sul luogo dell’attentato è stata ritrovata la sua carta d’identità, fatto che Scotland Yard non ha confermato né smentito.
Abedi viveva in città, a un paio di chilometri da dove si è fatto esplodere, provocando la strage. Sulla sua famiglia, i giornali britannici non concordano: il Guardian sostiene vivesse con la madre, mentre il resto della famiglia era tornata in Libia; ma secondo il Financial Times, con lui c’era un fratello maggiore, di nome Ismail. Ad ogni modo, i vicini riferiscono di una famiglia educata e molto riservata.
Sempre secondo chi li conosceva di vista, tutta la famiglia Abedi frequentava la moschea di Didsbury e seguiva un’interpretazione dell’Islam piuttosto tradizionalista e contraria al jihadismo. Questa non è una contraddizione: l’ideologia jihadista è un fenomeno recentissimo e rivoluzionario, i suoi adepti proclamano di essere gli unici interpreti del vero Islam, ma ne praticano una versione nettamente distinta da tutte le tradizioni radicate.
Ad ogni modo, qualcosa nella mente di Salman Abedi dev’essere cambiata negli ultimi anni. Mohammed Saeed, un imam di Didsbury intervistato dal Guardian, ha ricordato un episodio del 2005: dopo una predica in cui attaccava i miliziani libici affiliati al Califfato, l’imam ricevette un lungo sguardo d’odio e di minaccia dal giovane Abedi, tanto da sentirsi in pericolo.
Secondo quel che scrive il Daily Telegraph, Abedi era cresciuto nel quartiere di Whaley Range. La zona è nota alle cronache perché da lì, circa due anni fa, partirono due studentesse di medicina che volevano entrare nei ranghi dell’ISIS. L’attentatore invece aveva lasciato gli studi lo scorso settembre: studiava Business & Management all’università di Salford, un ateneo dell’area metropolitana di Manchester.
Abedi era schedato dalla polizia britannica, ma non era considerato un pericolo imminente per la sicurezza nazionale: gli investigatori erano convinti che fosse una figura periferica nel panorama degli estremisti o simpatizzanti dell’estremismo. Una descrizione che ricorda da vicino quella emersa a suo tempo a proposito di Khalid Masood, l’uomo che lo scorso marzo ha investito la folla e accoltellato a morte un poliziotto a Westminster, a Londra.
Intanto nella capitale si è deciso di mettere sotto protezione militare i siti strategici. Lo ha riferito Scotland Yard all’Independent. Ieri la premier Theresa May aveva detto che lo stato di allerta terrorismo era stato elevato da “grave” a “critico”, come si fa quando elementi concreti suggeriscono un attacco “imminente”. I militari saranno schierati a difesa del palazzo parlamentare di Westminster, di Buckingham Palace e della sede del governo a Downing Street.
Il bilancio, come accennato, si è aggravato da 22 a 24 morti: i due cittadini polacchi dati ieri per dispersi sono stati riconosciuti fra le vittime. Molti dei 120 feriti lottano in queste ore tra la vita e la morte, e una dozzina di loro hanno meno di 16 anni.
F.M.R.
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