Nel 180 d.C. a Vienna moriva l’Imperatore Marco Aurelio. Si concludeva così un periodo d’oro per il Mondo Romano, un periodo di oltre 80 anni in cui si erano succeduti 5 buoni imperatori : Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio e lui stesso. Quei sovrani, avevano carattere ed educazione diverse, ma erano accomunati dal fatto che nessuno era figlio del proprio predecessore e tutti avevano seguito il principio di adottare “ il più degno ” a cui lasciare il governo di Roma. Sfortunatamente Marco Aurelio non seguì quel principio e scelse come suo successore suo figlio Commodo. Dione Cassio racconta di come Marco Aurelio, in punto di morte, fosse costretto a raccomandare suo figlio ai soldati perché non si sospettasse che fosse stato assassinato da lui. L’episodio ci dà subito l’idea della fama sinistra che circondava Commodo quando a 19 anni divenne imperatore. Per capire il carattere del mostro, basti ricordare che un giorno compiuti soli 12 anni, Commodo ordinò di uccidere il suo servo personale facendolo gettare vivo nella fornace per il riscaldamento delle acque. E solo perché era reo di avergli preparato un bagno troppo caldo. Lucio Commodo nacque a Lanuvium nel 161 d.C.
Era un uomo di alta statura, robusto, ben proporzionato ed attraente. Con la barba, i capelli biondi ricci e gli occhi leggermente sporgenti, il naso affilato e la bocca carnosa. Sin da ragazzo aveva sempre rifiutato di dedicare tempo agli studi, mostrando invece solo un eccessivo attaccamento ai divertimenti della plebe, ai combattimenti gladiatori e alla caccia alle fiere. Nel primo periodo di regno, circondato dagli amici del padre, Commodo si comportò discretamente, e si mostrò generoso e liberale mantenendo le forme e perfino lo spirito del vecchio governo. Durante il suo principato, dopo aver concluso un trattato di pace con i Quadi e i Marcomanni, Roma dovette affrontare solo guerre di lievi entità, contro i Frisi in Germania, contro i Mauri in Africa, contro gli Ebrei e i Saraceni in Asia , e i Catti in Britannia. Ma il suo carattere era debole, e dopo qualche tempo, la sua timidezza e semplicità lo resero schiavo dei cortigiani e, incapace di governare alla maniera del padre. Sta di fatto che cambiò completamente atteggiamento intraprendendo una politica fortemente autoritaria nei confronti del Senato e dei ceti nobiliari, dando luogo ad espropri di molti dei loro beni immobili a vantaggio dello Stato, e limitando fortemente la presenza senatoria (sostituita con liberti e cavalieri) in tutti i numerosi apparati statali sparsi nell’impero. Allo stesso tempo, per assicurarsi l’amore dal popolo, dedicò grande attenzione agli spettacoli pubblici e a tutte le manifestazioni di grandezza e magnificenza dello Stato. Infine, con donativi e consistenti elargizioni in denaro, si rese fedele l’esercito. E fu così che pian piano la sua politica divenne marcata dal culto della personalità e da una feroce crudeltà. I senatori presi dal terrore di essere mandati a morte assistevano anche contro voglia agli spettacoli, e temendo l’ira del principe inneggiavano a lui: «Gloria a Cesare, a Commodo-Ercole, Invincibile, Amazonio, sempre Primo, sempre Signore, Pio, Vittorioso». Erano questi i titoli che l’imperatore si era dati e non i soli. Egli si faceva chiamare anche Felice, Germanico Massimo, Sarmatico, Invitto, Superatore, Pacificatore del mondo, Nume trionfatore, Padre del Senato, Padre della Patria.
Ma se la sua megalomania fu solo ridicola, la forma che prese la sua crudeltà fu bestiale e drammatica. Bastava un nonnulla a spingere l’imperatore a far uccidere qualcuno. Dava in pasto alle belve chi lo scherniva. Una volta fece gettare alle fiere un uomo che gli raccontò di aver letto la vita di Caligola, solo perché era nato nel suo stesso giorno. Fece massacrare tutti gli abitanti di una città solo perché uno di loro lo aveva offeso. Un’altra volta, per invidia, fece trucidare un tal Giulio Alessandro perché davanti ai suoi occhi, e senza scender da cavallo, era riuscito a colpire e uccidere un leone con il giavellotto. A volte chiedeva a qualcuno se era disposto a morire per lui e , davanti al suo si, lo faceva precipitare da una rupe per dimostrarne la sincerità. Un giorno, preso da curiosità per un enorme uomo obeso, se lo fece portare innanzi e gli aprì la pancia solo per vederne fuoriuscire tutto ciò che conteneva. O quando fece radunare nel circo molti degli storpi di Roma promettendogli cibo e premi. Ma poi li fece armare di trampoli e travestire da ciclopi, e li utilizzò per simulare una battaglia mitologica uccidendoli tutti. Ma l’episodio che ci mostra tutta la sua perfida cattiveria riguarda due grandi amici del padre : i ricchissimi fratelli Massimo e Condiano Quintili. Erano costoro amati e ammirati in tutta Roma per il loro reciproco amore fraterno. Ogni cosa sempre in comune : i loro studi, il loro patrimonio, le preoccupazioni, il consolato, la carriera, i piaceri, gli affari. Per sottrargli tutti i beni, la generosa crudeltà di Commodo, li unì anche nella morte. Era continuamente a caccia di denaro. Costringeva i cittadini più illustri a lasciargli in eredità il loro patrimonio.
Molti condannati a morte riuscirono a salvarsi solo donandogli tutti i loro averi. Oltre alla grazia l’imperatore vendeva un adeguata sepoltura, una pena ridotta o l’assoluzione nei processi. Anche in ambito religioso Commodo fu particolarmente crudele. Sebbene interruppe la persecuzione dei cristiani ( probabilmente perché lo era la sua favorita Marcia ), si divertiva durante le cerimonie organizzate in onore della dea Bellona quando costringeva alcuni seguaci ad amputarsi realmente un braccio come narrava la tradizione, o con i sacerdoti del culto di Mitra abituati a simulare un omicidio rituale, a cui imponeva durante le cerimonie di assistere realmente alla morte di un uomo. Commodo sapeva che il Senato lo voleva morto , così divenne sempre più crudele con i senatori e li uccideva anche davanti al minimo sospetto. Il suo odio cominciò una sera mentre stava rientrando al suo palazzo. Camminava in un oscuro e stretto portico dell’anfiteatro , quando un assassino gli si avventò contro gridandogli ad alta voce: “ Il Senato ti manda questo”. L’attentatore era Quintiliano, un nobile romano. Nella colluttazione questi non fece in tempo ad ucciderlo che fu subito preso dai pretoriani. Prima di essere ucciso Quintiliano rivelò il nome dei congiurati tra cui la sorella Lucilla con un piccolo gruppo di amici altolocati. Furono tutti mandati a morte, tranne Lucilla e un’altra complice esiliate a Capri e poco dopo uccise da sicari. Ma pure se finì bene per lui, Commodo non riuscì più a dimenticare la minacciosa frase del congiurato, e da quel momento maturò un forte odio contro l’intero corpo senatorio.
La storia ci ha lasciato una lunga lista di senatori consolari massacrati con i loro congiunti. Il sospetto divenne una prova, un processo equivaleva sempre a una condanna. Il supplizio di un senatore comportava la confisca dei beni e la morte di tutti coloro che potevano piangerlo e vendicarne la morte. Fece strage di tutti i vecchi e fedeli consiglieri del padre che lo avevano circondato e aiutato agli inizi del regno. Importanti servigi resi da uomini egregi gli apparivano come una pericolosa superiorità di merito, una rigida virtù era considerata come dissenso nei confronti della sua condotta sconsiderata. Stabilì ricche ricompense per le delazioni, purchè i delatori rivelassero vizi virtù e segreti di ogni senatore. Commodo aveva anche una certa propensione per le perversioni sessuali. Violentò tutte le sorelle, ad una sua concubina impose di mettersi il nome della madre Faustina per potercela chiamare durante gli amplessi. Aveva una vera e propria mania per le orge. Si era costruito un harem composto da 300 donne e 300 ragazzi.
Tutti quelli che ne facevano parte subivano le sue depravazioni e venivano violentati dai suoi amici perché a lui piaceva vedere quel genere di spettacolo. Aveva anche un favorito con un pene enorme che chiamava Asino e gli era carissimo. Lo fece ricco e gli diede la carica di sacerdote di Ercole rustico. Ma la passione che lo condusse alla rovina fu quella per la gladiatura. Pare che la ereditò dalla madre Faustina, (donna notoriamente dissoluta) e per questo si vociferava che il suo vero padre fosse un gladiatore. Pigro per natura impegnava molto tempo solo in quest’arte, nonostante la morale comune poneva i gladiatori nei ranghi più bassi della scala sociale. Chiamato anche “Ercole Romano”, Commodo combatte’ con successo 735 volte nell’arena, e ogni volta pretese che il suo nome venisse registrato nei registri ufficiali. Era molto rigido nel rispetto delle regole e per ogni sua esibizione riceveva in pagamento somme considerevoli che venivano sottratti dal fondo per le paghe dei gladiatori. Nel corpo a corpo aveva scelto la figura del “Secutor”, armato di elmo spada e scudo. Si dice che a volte scegliesse gli avversari tra il pubblico, ma pare che fosse poco propenso a uccidere, e che preferisse mutilare. Spesso faceva credere agli spettatori che stava per concedere la grazia al proprio avversario, e invece, una volta avvicinata la spada li sfregiava o menomava. Le fonti raccontano che uccise migliaia di bestie esotiche nell’arena, tra le quali elefanti, rinoceronti e ippopotami, leoni, orsi e leopardi. Ma la sua passione erano gli struzzi che abbatteva con speciali frecce fatte con la punta a mezzaluna, dardi appositi per reciderne il collo e farli continuare a correre pochi secondi decapitati. Cassio Dione racconta che una volta afferrò una di queste teste di struzzo mostrandola ai senatori e proclamò che avrebbe voluto fare uguale con l’intero Senato. Ma dopo 12 anni la misura era oramai colma. Anche il popolo e i militari erano stufi degli eccessi di Commodo.
Il 31 dicembre del 192 d.C., durante un banchetto la sua concubina favorita Marcia (con la complicità di molti congiurati), gli diede una coppa di vino avvelenato. Commodo stette malissimo, vomitò tutto, anche il veleno, ma sopravvisse. Semi stordito decise di farsi un bagno. A quel punto, presi dal terrore, i congiurati assoldarono il gladiatore Narcisso, (maestro della scuola per gladiatori e allenatore personale di Commodo), che lo raggiunse in bagno, lo afferrò per il collo e lo annegò nella vasca. “Gli presi il collo con una mano sola, e strizzai. Facile come uccidere uno struzzo” si vantò Narcisso.
Così, all’ età di trentadue anni moriva Commodo l’ultimo degli Antonini.
Fabio Longhi de Paolis
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