Nuova tegola giudiziaria per Silvio Berlusconi a pochi giorni dalla conclusione delle indagini del processo Ruby ter, dov’è accusato di aver pagato ragazze per testimoniare il falso nel primo processo, concluso con la sua piena assoluzione.
L’ex cavaliere e il faccendiere Valter Lavitola, ex direttore dell’Avanti!, sono stati condannati a tre anni di reclusione e cinque di interdizione dai pubblici uffici per corruzione. La sentenza, pronunciata dalla prima sezione penale del Tribunale di Napoli, arriva a conclusione del processo di primo grado sulla “compravendita di senatori” avvenuta fra il 2007 e il 2008.
Servendosi di Lavitola come intermediario, Berlusconi avrebbe pagato tre milioni di euro all’allora senatore Sergio De Gregorio – eletto nelle liste dell’Italia dei Valori, che appoggiava il governo Prodi II in carica dal 2006 – per passare all’opposizione. In un Senato spaccato, in cui il governo aveva solo due seggi di vantaggio anche a causa dell’assegnazione separata dei premi di maggioranza regionali – misura contenuta nel Porcellum e dichiarata incostituzionale nel 2013 – questo bastò a togliere all’esecutivo i numeri necessari per rimanere in carica.
Accolta dunque la linea della pubblica accusa, secondo cui si sarebbe trattato, come ha detto nella requisitoria il Procuratore aggiunto Vincenzo Piscitelli, di un “colossale investimento economico diretto ad ottenere l’unico risultato che interessava all’uomo Berlusconi, ossessionato solo dalla volontà di mandare a casa Prodi e prenderne il posto”.
La linea dei difensori di Berlusconi – gli avvocati Michele Cerabona e Niccolò Ghedini, mentre Franco Coppi e Bruno La Rosa hanno assistito Forza Italia – puntava sull’insindacabilità del voto dei parlamentari, che non devono votare secondo l’orientamento dei partiti; anzi, la legge vieta ai partiti di obbligarli a farlo.
“Anche se ero convinto che dovessero assolverlo, in appello ci daranno ragione” ha dichiarato Ghedini. Il difensore di Berlusconi ha ricordato che il reato contestato all’ex cavaliere cadrà in prescrizione il prossimo 6 novembre.
Il suo assistito ha commentato dichiarandosi “certo di aver sempre agito nell’interesse del Paese e nel pieno rispetto delle regole e delle leggi” e sostenendo che la sentenza faccia parte di una persecuzione politica, seguito a ruota dai suoi fedelissimi.
“C’erano delle voci ma, come dissi al giudice, non ne sapevo nulla. Se avessi saputo qualcosa, sarei ancora presidente del Consiglio” ha commentato Romano Prodi. L’ex premier non si è costituito parte civile nel processo: “Il danno non è stato alla mia persona, ma alla democrazia”.
F.M.R.
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