Il processo è stato intentato dal padre adottivo dei ragazzi, che tramite il rappresentante legale dei minori, l’ex pm antimafia Aurelio Galasso, aveva chiesto al Tribunale di Messina di stabilire se ci fossero responsabilità dei magistrati che si occuparono della vicenda, dopo le prime denunce della vittima contro il marito. La Cassazione aveva quindi aperto nel settembre 2014 la strada affinché i tre figli minori della donna, in base alla legge del 1988 sulla responsabilità civile dei magistrati, potessero avere dallo Stato un risarcimento per la «negligenza inescusabile» dei pm che avrebbero dovuto occuparsi di quelle denunce.
Oggi la Corte ha stabilito che ci fu dolo e colpa grave nell’inerzia dei giudici che, dopo i primi segnali di violenza da parte del marito, non hanno trovato il modo di fermarlo. Se i primi segnali della escalation di violenza potevano essere incolpevolmente sottovalutati, così non poteva essere dopo le prime denunce formali, le testimonianze, il racconto della vittima, minacciata chiaramente di morte dal marito che le aveva mostrato il coltello, lo stesso con la quale poi ha messo fine alla sua vita, anche in presenza di terzi. I legali catanesi sono contenti a metà. La sentenza riconosce la responsabilità civile del magistrato per i isoli danni materiali, non per quelli morali patiti dai tre figli piccoli della coppia.
E’ una sentenza rivoluzionaria, spiega l’avvocato Licia D’Amico, legale del padre adottivo insieme all’avvocato Alfredo Galasso: “Sono estremamente rare le condanne dei magistrati al risarcimento del danno prodotto da loro inerzie o errori”. Anche se, non dimentichiamolo, a pagare non saranno i pm condannati ma lo Stato.
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