Fiducia blindata alla Camera. Il governo giallorosso riscuote 343 sì: ne sono mancati 2 del Pd e 7 del M5S, ma ne sarebbero bastati 316. I ‘no’ sono stati 263.
Una fiducia ‘guadagnata’ dopo 10 ore filate di seduta iniziata qualche minuto dopo le 11 con il discorso del presidente Conte, tra i più lunghi della storia della Repubblica, con il quale il professore di diritto privato intendeva inaugurare una nuova stagione di pacatezza. Per questo nel suo discorso aveva inserito un richiamo a Giuseppe Saragat – “Fate che il volto di questa Repubblica sia un volto umano”- un tentativo di rimarcare il cambiamento dei toni rispetto all’esperienza precedente, che in occasione della replica sfuma però a causa dei toni più duri che il premier riserva alla Lega e al suo leader.
Oggi per il governo Pd-M5S cambia il campo di gioco che si sposta al Senato. Qui i giocatori sono 315, un numero nettamente inferiore rispetto alla Camera, e i voti necessari per vincere la partita devono essere 161, non uno di meno. Per ora sulla carta ce ne sono 169. Ma le sue minoranze risicate permettono ai singoli, come al senatore siciliano M5S Mario Giarrusso (non è la prima volta), o al pugliese Lello Ciampolillo, o al filoleghista Gianluigi Paragone, di minacciare disastri con voti contrari che a ogni vigilia spuntano inesorabilmente. Così, a ieri, il Pd era preoccupato per l’astensione di Matteo Richetti. E per il fatto che ci sono parlamentari dem molto dubbiosi sul taglio di 345 eletti che saranno presto chiamati a votare. Mentre i 5 stelle temono i malumori del no Tav Alberto Airola, e appunto di Giarrusso e Ciampolillo. Considerando Paragone già andato. E non potendo conteggiare nella maggioranza neanche gli ex, a parte Paola Nugnes (che se questo governo fosse nato solo due mesi prima, non sarebbe fuori dal-gruppo).
Ma la tensione viene tenuta alta e si lega alla distribuzione dei posti di sottogoverno. Su quelli, la partita è tutt’altro che chiusa. A partire da Palazzo Chigi, dove il duello tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il capo politico M5S Luigi Di Maio – quello che stava per far crollare tutto nell’ultima notte di trattative – non è ancora finito. Domenica sera il premier si sarebbe arreso sul nome di Roberto Chieppa.
Intanto ieri sera, Carlo De Benedetti, l’editore di Repubblica ed Espresso, ospite della Gruber nella trasmissione ‘Otto e mezzo’ su La7, ha detto che la fiducia al Conte-bis non l’avrebbe votata. Non lo convince e non avrà vita lunga. “Avevo trovato bellissimo il discorso di Giuseppe Conte al Senato lo scorso 20 agosto. Ma poi ho ritenuto inadeguato sedersi con il Pd dopo aver firmato tutti i decreti sicurezza, la Diciotti… Penso che lui sia un manager, non un politico. Gestisce la politica come se dovesse rispondere agli azionisti, che per lui sono il popolo”. E ha aggiunto che “i padri di questo governo si chiamano Renzi e Beppe Grillo, e non mi sembra un grande albero genealogico”.
In senato il dibattito sulla fiducia al Conte bis è iniziato poco dopo le 10 di questa mattina. Il premier ha depositato ieri a palazzo Madama l’intervento svolto alla Camera. Al termine del dibattito è prevista la replica del presidente del Consiglio, intorno alle 15. A seguire le dichiarazioni di voto e voto il cui esito è atteso per le 18.
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