E’ stato un weekend di emozioni intensissime ( più ancora che di spettacolo) quello offertoci dal subcontinente americano in questi Quarti di finale della Copa America. Argentina e Brasile, i due giganti del Sudamerica ( e non solo), entrambi fuori e prima delle semifinali!
Un evento storico perché, da quando questa competizione ha abbandonato l’originaria formula del girone unico tra tutte le partecipanti ( e, quindi, a partire dall’edizione del 1975), almeno una tra Brasile e Argentina si era sempre spinta almeno fino in semifinale, con l’eccezione, maturata in circostanze di assoluta anomalia, di quella del 2011 giocata in Colombia e vinta dai padroni di casa ( in quel caso, un Brasile in formazione sperimentale e piuttosto svogliato si fece eliminare nei Quarti di finale dall’Honduras e l’Argentina rinunciò a partecipare a gironi già compilati e a poche ore dalla prima partita, causa minacce di morte pervenute ai propri giocatori, venendo sostituita proprio dai centroamericani, ndr). Andiamo con ordine e cominciamo con il sentitissimo Clàsico del Rio de la Plata.
Argentina e Uruguay scendono in campo nel catino del “Brigadier General Estanislao Lopez” di Santa Fe nel consueto clima arroventato che contrassegna questi confronti. Non c’è neanche il tempo di studiarsi che la “celeste”, al 5’, è già in vantaggio con Perez ( alla sua prima marcatura con la maglia della nazionale in 65 presenze fino ad oggi), lesto ad approfittare di una corta respinta del portiere Romero su colpo di testa di Càceres, innescato da una lunga parabola su calcio piazzato di Forlàn. Gli argentini, pur scossi dall’imprevisto avvio, non si perdono d’animo e già al 18’ pervengono al pareggio con uno splendido colpo di testa di Higuaìn, perfettamente servito da un assist al bacio di Messi per l’1-1. L’Argentina, rinfrancata dal pareggio ottenuto dopo pochi minuti dallo svantaggio iniziale, comincia ad esercitare una notevole pressione ma senza creare autentici pericoli. In questa fase della partita è Leo Messi a mettersi particolarmente in evidenza con accelerazioni mortifere per la retroguardia uruguaiana che può fermarlo solo ricorrendo alle maniere forti. La gara si surriscalda e, sul finire di frazione, sono gli uomini di Tabarez a sfiorare la seconda segnatura colpendo in rapida successione due volte i legni con Càceres e con Lugano ( splendida la sua girata aerea che si stampa sulla traversa), ma i ritmi, a dir poco frenetici, costano cari all’autore del vantaggio: Perez si fa, infatti, espellere per secondo giallo rimediato per un fallo inutile su Gago. Nella ripresa, i padroni di casa, forti della superiorità numerica, aumentano ulteriormente i ritmi e cercano con molta più convinzione la porta di Muslera che avrà, così, modo e maniera di ergersi a protagonista assoluto della sfida. L’ormai ex portiere della Lazio comincia il suo show personale fermando d’istinto una bella girata di Higuaìn da ottima posizione. Immediata la replica di un Uruguay mai domo ( e monumentali le prestazioni di Rios e Alvaro Pereira nel non far rimpiangere l’assenza dell’espulso Perez) con una velocissima combinazione tra Suarez e Forlàn sui cui piedi è bravissimo a chiudere Romero. La partita sale di tono anche sotto il profilo delle occasioni e diventa davvero spettacolare. La “celeste” si rende ancora pericolosa con un colpo di testa di poco fuori del solito Lugano. Ad una manciata di minuti dal 90’, la gara torna in parità anche in fatto di uomini in campo per l’espulsione, anche questa per doppia ammonizione, di Mascherano e da qui in poi gli equilibri saltano del tutto perché con Cambiasso in panchina e “el jefe” espulso, i padroni di casa rimangono senza un vero playmaker in mezzo al campo e la squadra rimane, così, spaccata in due tronconi. Ma, proprio agli sgoccioli del tempo regolamentare, il neo entrato Tevez calcia violentemente una punizione, resa ancor più insidiosa da una deviazione della barriera, e Muslera compie una prodezza, respingendo, d’istinto e in controtempo, con i piedi il suo bolide ( nel miglior stile-Garella) e poi andandosi ad immolare a corpo morto per chiudere lo specchio sulla successiva conclusione a botta sicura dell’accorrente Higuaìn. Semplicemente fantastico, il “castorino”!
Si va ai supplementari. La prima occasione è per gli ospiti con Alvaro Pereira che, da buona posizione, calcia a lato. Di qui in poi è solo un assedio argentino con un palo colpito dal solito Higuaìn, una conclusione da fuori dell’altro subentrato, il palermitano Pastore, ottimamente bloccata da Muslera, e, infine, con Messi. La “pulce” prima ci prova da fuori costringendo il portiere ad un difficile intervento a terra in due tempi e, poi, all’approssimarsi dei rigori, a chiudere un uno-due al limite dell’area che lo proietta a tu per tu con Muslera che, con l’aiuto dei compagni, riesce a sbrogliare. Rigori, dunque. Li segnano tutti, da ambo le parti. Tranne uno. Carlitos Tevez. La sua lunga rincorsa si conclude con un tiro a mezz’altezza che Muslera para con un gran balzo alla sua destra. E’ l’ex juventino Càceres a chiudere la lotteria per la gioia di una piccola nazione ( poco meno di 3 milioni e mezzo di anime) che, di tanto in tanto, grazie al calcio, riesce a perpetuare autentici miracoli e per la disperazione di una grande potenza del calcio mondiale e del suo numerosissimo popolo che vede, invece, rimandato a data da destinarsi l’appuntamento con il successo che sta diventando una sorta di maledizione, oltre che di ossessione.
La sconfitta dei padroni di casa è stata “salutata” con titoli di stampo apocalittico da parte dei giornali locali (su tutti, “El Clarìn” e “La Naciòn”). Sul banco degli imputati, ovviamente, il Ct, Sergio Batista. Colpevole, ed è difficile, almeno stavolta, dar torto ai sanguigni colleghi argentini, di non aver saputo capitalizzare una superiorità numerica durata oltre 45’, di aver fatto giocare troppo arretrato Messi, togliendogli lucidità e pericolosità nei pressi dell’area ( almeno, si sono ricreduti sulla qualità delle prestazioni della “pulce”, semplicemente encomiabile per l’impegno profuso nell’inedita veste di chi deve cantare e portare la croce), di non aver dato maggior fosforo al centrocampo, tenendo fuori Cambiasso, di aver insistito per 120’ su un esausto Zanetti, oltre che di aver effettuato con imperdonabile ritardo i cambi ( Pastore e Tevez si sono rivelati, comunque, i più vivaci dei loro, nonostante il rigore fallito da Carlitos, mentre Aguero non ha visto palla per tutti e 85 i minuti trascorsi da fantasma sul rettangolo verde). A tali critiche, il Ct non ha saputo opporre se non un ammirevole ( ma anche un po’ ottuso…) orgoglio. Molto più eloquente delle parole del suo allenatore, il silenzio assordante di Messi nel post-partita. Toccanti, però, gli striscioni che un pentito pubblico argentino gli ha voluto riservare e che recitavano: “Lio scusaci” e”Grazie per quello che ci dai”.
Veniamo ora alla caduta dell’altra “divinità” del calcio latinoamericano: il Brasile. Ora, se Argentina-Uruguay è stata una partita che ha fatto registrare un certo predominio territoriale dei locali, ma sostanzialmente equilibrata per cui una conclusione ai rigori poteva rientrare nell’ordine naturale delle cose, Brasile-Paraguay è stata, invece, un qualcosa che verrà ricordato ai propri nipotini da chi ha visto e/o vissuto quanto accaduto a La Plata. Una sola squadra in campo a giocare o, quantomeno, a tentare di farlo. Impegnata in un infinito, sfiancante tiro a segno. Un’altra concentrata esclusivamente ad ergere barricate per tutti e 120 i minuti di gioco. Senza tirare praticamente mai. Se non dal dischetto in occasione dei rigori. Segnandone due. Il Brasile, invece, è riuscito nell’impresa di sbagliarli tutti. Roba da guinness dei primati. Per ritrovare una partita di alto livello terminata 2-0 dopo i calci di rigore bisogna ritornare con la memoria alla finale di Coppa dei Campioni del 1986, vinta dalla Steaua Bucarest sul favoritissimo Barcellona a Siviglia, con l’allora sconosciuto Duckadam eroe di giornata. Qualcosa di simile lo si era visto, per tornare in epoca più recente e in casa nostra, con Olanda-Italia di Euro2000, con Toldo ad abbassare la saracinesca. Ma lì il dominio “oranje”, rigori neutralizzati a parte, non fu così netto, almeno in termini di palle-gol ( a parte un palo di Bergkamp in apertura). Volendo volgere lo sguardo ad altri sport, potrebbe venire in mente il celeberrimo “rumble in the jungle”, ossia Alì-Foreman nel campionato mondiale dei pesi massimi di pugilato, a Kinshasa, nel 1974. Ma in quell’occasione, Alì, dopo aver subito alle corde per gran parte delle riprese iniziali, trovò la forza per uscirne e finì in crescendo, dandole anche di santa ragione a “Big George”. Qui, nulla di tutto questo. Nessuna reazione degna di nota. Solo difesa a oltranza dello 0-0 di partenza, da difendere come fosse un tesoro. E, dall’altra parte, occasioni a grappoli. Paradossalmente, il Brasile esce di scena dopo aver fornito la prestazione più convincente della sua non certo esaltante Copa ( forse addirittura l’unica). Nulla di trascendentale sotto il profilo dell’organizzazione della manovra, ma ben più di quanto sarebbe potuto bastare per vincere una partita. Ma questa, evidentemente, non era “una” partita, ma “la” partita che verrà per sempre ricordata quando si vuole spiegare cosa vuol dire “chi sbaglia paga”.
Come ogni pagina epica pretende, anche questa ha il suo eroe. L’eroe di un’intera nazione le cui gesta verranno anch’esse tramandate di padre “guaranì” in figlio, “guaranì” anch’esso, ovviamente. Le gesta di Justo Villàr, il portiere dell’”albirroja”. La partita inizia con un possesso palla stordente da parte dei verdeoro che danno l’impressione di poter passare da un momento all’altro. Soprattutto, sulle due fasce, grazie a Maicon e ad Andre Santos, i brasiliani mettono costantemente in difficoltà i “guaranì”. Già nella prima mezz’ora si contano due occasionissime sprecate da Neymar. Poi è la volta di Lùcio a tentare la deviazione sotto porta a botta sicura ma qui è bravissimo Villàr a respingere d’istinto. Il tempo si chiude sull’ennesima incursione di Andre Santos che, però, da buona posizione, manda alle stelle. Nella ripresa, il Brasile entra in campo per stringere i tempi e chiudere il discorso. Le occasioni aumentano a dismisura e si arriva, addirittura, ad un doppio salvataggio dei difensori paraguaiani ( o meglio, del solo Alcaraz) su due conclusioni ( di Neymar e Maicon) a portiere battuto! Robinho manda di poco a lato un bel tiro a giro alla mezz’ora. Poco dopo è Paulo Henrique Ganso a calciare fuori non di molto un insidioso diagonale. Quindi, Pato impegna severamente l’estremo difensore avversario su punizione. Villàr riesce anche nell’impresa di sventare un autogol di un compagno su tiro di Neymar… All’80’ è strepitoso su Pato che, poi, di testa, non riesce a ribadire a porta vuota. E laddove non arriva Villàr, ci sono i suoi fedeli scudieri pronti alla bisogna come Barreto che salva sulla linea una conclusione del neo entrato Fred che sembrava gol fatto. Anche nei supplementari il Brasile cerca di spingere per sbloccare il risultato, ma è ancora Villàr decisivo su Pato, splendidamente servito da Robinho al termine di un’ubriacante azione personale. Poi si fa sempre più sentire la stanchezza e, con questa, il nervosismo che porta all’espulsione di Lucas e Alcaraz al 112’. Quindi, i rigori. Elano ( per solito un cecchino) manda altissimo, Thiago Silva si fa neutralizzare il suo dall’ennesimo miracolo di Villàr, Andre Santos manda in curva e Fred a lato. Decidono Estigarribia e Barrios. Particolare curioso: i paraguaiani hanno saputo certamente sfruttare meglio dei dirimpettai le irregolarità del terreno, soprattutto nei pressi del dischetto del rigore. Ma questa non può e non deve essere una giustificazione per i verdeoro, ma casomai, data l’esperienza internazionale di un Elano, di un Thiago Silva o di un Fred, un’aggravante. In conferenza stampa, anche qui, bersaglio preferito delle critiche ( durissimo è stato anche l’ex campione del mondo, Romàrio, ndr), il Ct, Mano Menezes, che ha detto: < Penso che sia gesto rimanere sereni nel momento in cui si analizza la partita, anche perché quando si perde si tende sempre a dipingere le cose come peggiori di quanto non siano. Penso che non sia tutto da buttare e che potremo solo migliorare con il tempo, lavorando di più tutti assieme. >. E a chi già reclamava la testa del Ct, ecco pronta la risposta del Presidente della C.B.F., a mezzo del suo Responsabile per la comunicazione: <Mano Menezes continuerà il suo lavoro come Ct della seleçao perché già si è visto un netto miglioramento nelle prestazioni dalla prima partita a quest’ultima >.
Nelle altre due partite valide per i Quarti di finale, la Colombia è stata sorprendentemente battuta per 2-0 dopo i tempi supplementari dal Perù, andato a segno con Lobatòn al 12’ del primo tempo supplementare, e del fiorentino Vargas al 6’ del secondo. Anche in questo caso, dominio assoluto dei “cafeteros” che possono recriminare su ben tre legni ( due presi da Moreno e uno da Guarìn) e su un rigore calciato a lato dal bomber, Radamel Falcao. Ma, a differenza dei paraguaiani, almeno i peruviani in porta ci sono arrivati… Per finire questo weekend all’insegna delle sorprese, è arrivata la vittoria del Venezuela ( per la prima volta così in alto nella storia della Copa) per 2-1 sul Cile, con reti di Vizcarrondo, pareggio di Suazo per i cileni e gol , nel finale, con tanto di “papera” del portiere, Bravo ( si chiama proprio così, per ironia della sorte…). Anche qui, dominio imbarazzante della “roja” con pali, traverse e salvataggi sulla linea e Suazo protagonista di moltissime occasioni perse 8oltre al gol dell’illusorio pareggio). Grandissima soddisfazione espressa su Twitter dal Presidente del Venezuela, Chavez.
Dunque, le semifinali saranno, incredibilmente:
Uruguay-Perù
Paraguay-Venezuela
I Quarti ci hanno regalato, quindi, quattro partite con quattro vincitrici contro il pronostico. E quattro partite che, pur fatte tutte le differenze del caso, hanno avuto un comune denominatore: ha sempre vinto chi ha lasciato l’iniziativa all’avversario, attendendone l’errore e punendolo, con cinismo, alla prima occasione. Il Sudamerica, in questo, lancia, quindi, un segnale in controtendenza rispetto alle indicazioni offerte dal calcio del Vecchio Continente, dove regna il “barcellonismo”. Curioso: un tempo vulgata popolare voleva che fossimo noi europei gli speculativi e loro, i sudamericani, quelli votati allo spettacolo. Come cambiano i tempi. O, forse, nell’era della globalizzazione, non è neanche più tanto corretto parlare di “scuole calcistiche” localizzate in quel Paese piuttosto che in quel Continente.
Daniele Puppo
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