Il giro di vite ungherese sui migranti in transito, provenienti dalla rotta balcanica, produce i primi effetti: nelle prime 24 ore dalla chiusura della frontiera con la Serbia e dall’entrata in vigore della legge che punisce l’immigrazione clandestina con il carcere, le autorità ungheresi hanno effettuato 367 arresti ed esaminato 70 domande di asilo, 40 delle quali sono già state respinte. Soltanto lunedì mattina, prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni, hanno messo piede in terra ungherese 9380 persone.
A Horgoš, in territorio serbo, gli stranieri accampati ai piedi della barriera di filo spinato eretta dagli ungheresi lungo il confine sono ormai diverse migliaia. Ieri sera alcuni di loro hanno approfittato dei bus messi a disposizione dall’UNHCR – l’Alto commissariato ONU per i rifugiati – per andare a dormire al chiuso nel centro di prima accoglienza di Kanjiža. Di quelli rimasti al confine, invece, circa cento hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare contro l’immobilità forzata.
Non mancano momenti di tensione: il tentativo della polizia di fermare l’iniziativa di un gruppo di profughi, che cercavano di usare le coperte per abbattere la barriera di filo spinato, è stato accolto con un lancio di sassi.
Entrambi gli Stati hanno rafforzato il presidio delle forze dell’ordine con centinaia di agenti in tenuta antisommossa. Ieri, mentre il governo ungherese annunciava di voler estendere la barriera anche lungo la frontiera con la Romania, nelle due contee che confinano con la Serbia è entrato in vigore lo stato di emergenza, che dà poteri speciali alle forze dell’ordine e permette di impiegare l’esercito in operazioni di sorveglianza.
La Serbia non condivide la politica di chiusura dell’Ungheria: ieri sera il ministro dell’Interno Nebojša Stefanović è partito per Horgoš nel tentativo di sbloccare la situazione.
Intanto il governo serbo sta provando a dirottare i migranti che entrano dalla Macedonia su un percorso alternativo che passa dalla Croazia. Il primo pullman proveniente dal sud della Serbia è arrivato nel posto di confine di Sid verso le 4.30 di stamattina.
Il primo ministro croato Zoran Milanović, da parte sua, promette che il suo Paese assicurerà il passaggio a chi arriverà nei prossimi giorni. “Saranno autorizzati a proseguire il cammino attraverso il Paese e quindi a dirigersi verso l’Europa occidentale”, ha dichiarato il premier: “La Croazia è assolutamente pronta a ricevere queste persone o indirizzarle dove vogliono andare, in Germania o nei Paesi scandinavi”.
Intanto l’indecisione della UE, dovuta alla distanza fra le posizioni degli Stati membri, ha scatenato le reazioni contrarie degli Stati favorevoli all’apertura, Germania in primis. Ieri, dopo il fallimento del vertice dei ministri dell’Interno sul piano di ridistribuzione di 120 mila migranti che avrebbe alleggerito la pressione sui Paesi di prima accoglienza – oltre all’Ungheria, soprattutto Italia e Grecia –, il vicecancelliere Sigmar Gabriel aveva dichiarato che l’Europa si era “coperta di ridicolo”.
Gabriel si è appellato al Consiglio UE per chiedere un vertice straordinario, richiesta replicata ieri sera dalla cancelliera federale, Angela Merkel, e Bruxelles ha risposto anticipando il prossimo appuntamento dei ministri dell’Interno dall’8 ottobre al 22 settembre.
Nei confronti di Italia e Grecia, il governo di Berlino insiste sull’apertura degli hotspot, i punti d’identificazione e smistamento dei migranti, che secondo il piano messo a punto dal presidente della Commissione UE Jean-Claude Juncker avrebbero dovuto iniziare a funzionare proprio oggi.
Dall’Italia, però, è arrivata una doccia fredda: il ministro dell’Interno Angelino Alfano è deciso ad aprirli soltanto quando i 28 avranno raggiunto un’intesa su una politica comune. Intesa che secondo il Viminale potrebbe arrivare nel giro di un paio di mesi, come sembrava suggerire il ministro in un’intervista a RTL. Ma in realtà, se bastasse questo tempo a convincere gli Stati a mettere da parte le loro divergenze, a Bruxelles qualcuno griderebbe al miracolo. C’è poi il nodo della seconda condizione posta dall’Italia per mettere in funzione gli hotspot: l’avvio dei rimpatri assistiti dei migranti che non hanno diritto all’asilo, che la UE dovrebbe concordare a tempo di record con i governi dei loro Stati d’origine, per la maggior parte in Africa.
Il Ministero dell’Interno sta quindi pensando di potenziare le soluzioni-ponte da mettere in atto per evitare che l’impasse continentale porti al collasso la macchina dell’accoglienza nazionale. Ad esempio si è già deciso di trasferire altrove 900 ospiti del CARA di Mineo, e non è escluso che si possano prendere decisioni simili nei riguardi dei 2000 che rimangono all’interno della struttura siciliana. Il Viminale ha poi chiesto alle prefetture di accelerare l’applicazione del piano di ridistribuzione interna di ventimila migranti verso strutture d’accoglienza atipiche, come alberghi e campeggi, secondo le quote regionali fissate in una circolare la scorsa settimana.
Su tutte le misure provvisorie, però, incombe un timore: che le chiusure di frontiere e le sospensioni del trattato di Schengen annunciate negli ultimi giorni da vari Stati, tra cui l’Austria, complicando gli spostamenti dei migranti in transito, finiscano per aumentare la pressione sulle strutture italiane e vanificare gli sforzi fatti per rendere i meccanismi più efficienti.
F.M.R.
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