Quasi 500mila dollari al giorno finiscono nel Dark web, lo spazio di navigazione online in anonimato in cui si muovono truffatori, creatori di malware, spacciatori, pedofili e anche terroristi. Lo rileva il rapporto Clusit 2015 (Associazione Italiana per la sicurezza informatica), che si è avvalso della collaborazione, come osservatori, di tre aziende come IBM, FastWeb e Akamai.
Anche l’Isis è presente nel Dark web: “Abbiamo notizia di alcuni siti utilizzati per condividere indirizzi Bitcoin per la raccolta di fondi per finanziare attività delle cellule operative in Occidente, mentre in rete è reperibile il testo ‘Bitcoin wa Sadaqat al Jihad’ che spiega come acquistare armi nel Dark Web per azioni terroristiche”.
La premessa. A tutt’oggi non esiste un’autorità nazionale o internazionale che abbia il compito di raccogliere sistematicamente le segnalazioni dei vari incidenti informatici (malware, truffe online, hackeraggio dei profili social e così via). Questo comporta inevitabilemente una difficoltà da parte di Polizia Postale e Guardia di Finanza di costituire una difesa sistematica che miri a contenere i “rischi della rete”.
L’unico obbligo di segnalazione presente oggi in Europa è il cosidetto “Data Breach Notification”, che classifica un certo tipo di incidente informatico nel settore delle telecomunicazioni.
Nel Dark web hackerare un profilo Facebook può costare fino a 200 dollari, mentre accedere a un account PayPal è appena più caro, sui 300 dollari. La prestazione più remunerativa è ovviamente quella di reperire il codice sorgente di un malware bancario (fino a 1500 dollari).
Si tratta di una vera e propria economia in espansione “Considerando che il popolare sito Silk Road (dove si compra merce e droga di contrabbando) nel 2012 aveva un giro di affari annuo di circa 22 milioni di dollari”.
Ciò che rende le varie tipologie di crimini informatici così difficili da debellare è prima di tutto economica: “Per ogni dollaro investito dagli attaccanti nello sviluppo di nuovo malware, o nella ricombinazione di malware esistente per nuovi scopi, il costo sopportato dai difensori (ancora legati ad un modello reattivo, e dunque incapaci di anticipare le mosse degli avversari) è di milioni di dollari”.
Questo fa sì che chi attacca possa acquistare mezzi più sofisticati, in grado di causare danni maggiori, senza interruzione e da qualsiasi punto del pianeta “a costi mediamente irrisori in un immenso mercato underground di prodotti e servizi cyber criminali che ha tutte le caratteristiche di un’industria high-tech di prim’ordine con l’aggravante che questa particolare industria gode del “vantaggio competitivo” di essere totalmente non regolamentata e di non essere soggetta ad alcun tipo di limitazione”.
Al primo posto tra i tipi di attacchi informatici più diffusi troviamo il Malware (software ideato per creare danni a un computer), seguito dal Defacement (una variazione di una pagina web di solito a scopo dimostrativo) e i DDoS (Distributed Denial of Service), cioè attacchi rivolti a rendere inaccessibili alcuni tipi di servizi. Questa ultima tipologia di solito prende di mira istituzioni governative ma, come nel caso dell’ormai famoso attacco del gruppo di hacker Anonymous alla Chiesa di Scientology nel 2009, anche organizzazioni di tipo privato.
Nel 2014, l’esercito del cybercrime ha attaccato il server bancario della JP Morgan Chase, una catena di negozi di bricolage e una di supermercati, il colosso informatico Ebay, la Sony e il Gruppo Benetton, solo per citarne alcuni.
La parola d’ordine è “prepararsi all’impatto, adottando logiche di Cyber Resilience”. Dalla semplice segnalazione alla Polizia Postale che può fare il singolo utente fino alla doppia autenticazione dell’accesso ai servizi di posta elettronica da poco adottata da Facebook.
Intanto, in Italia quasi il 25% dei siti regionali (Abruzzo, Calabria, Campania, Puglia e Veneto) è stato bersaglio di attacco informatico. Nel caso di Puglia e Veneto si è trattato di attacchi degli hacker di Anonymous.
Laurea magistrale in Storia contemporanea presso L'Università degli studi Roma tre. Master di primo livello I mestieri dell’Editoria, istituito da “Laboratorio Gutenberg” di Roma con il patrocinio del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale presso “Università Sapienza di Roma”. Dopo la laurea ho svolto uno stage presso Radio Vaticana, dove ho potuto sperimentare gli infiniti linguaggi della comunicazione.
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