A bordo dell’Airbus russo caduto in Sinai c’era una bomba. I rapporti dell’intelligence USA sarebbero serviti a convincerne anche gli inquirenti britannici. Più cauta Mosca, che parla di “supposizioni”. Intanto, fonti russe rivelano che l’analisi delle scatole nere stenta a dare i frutti sperati.
L’antiterrorismo del Regno Unito, che indaga sul disastro da giorni, ha ricevuto nuove informazioni di intelligence dagli americani mercoledì scorso.
Secondo quanto sostiene BBC online, gli inquirenti non hanno ancora escluso del tutto l’ipotesi di un guasto, ma ormai ritengono molto più probabile la pista dell’attentato. La bomba, se c’era, con ogni probabilità è stata caricata nella stiva, forse da un addetto ai bagagli, nell’aeroporto di Sharm el-Sheikh, ultima tappa dell’aereo prima di ripartire per San Pietroburgo.
Il Cremlino però riferisce una versione diversa. Dmitri Peskov, il portavoce del presidente Vladimir Putin, ha definito la teoria della bomba “solo una supposizione”.
“Non sappiamo che dati usino i nostri colleghi. Londra non ha condiviso con Mosca queste informazioni”.
Peskov ha anche commentato le vignette sul disastro pubblicate oggi dalla rivista francese Charlie Hebdo: le ha definite un “sacrilegio” e ha spiegato che “non hanno a che fare né con la democrazia né con la libertà di espressione”.
Intanto il quotidiano russo Kommersant, che ha avuto modo di consultare fonti vicine alle indagini, riferisce dettagli poco incoraggianti dall’analisi delle scatole nere. Secondo le fonti, a bordo “tutti i sistemi funzionavano regolarmente” finché “è accaduto un evento dopo il quale la registrazione di tutti i parametri si è fermata in un attimo”. Un’ipotesi su cui si sta lavorando è che il misterioso “evento” abbia provocato il distacco della coda, separando i supporti di registrazione dal resto dell’Airbus.
Cauto sostegno alla tesi dell’attentato arriva anche dal presidente degli USA Barack Obama. In un’intervista trasmessa alla radio, Obama ha riferito della “possibilità che ci fosse una bomba a bordo”, possibilità che la Casa Bianca starebbe “prendendo molto sul serio”.
Ancora più circospetto il Segretario alla Difesa Ash Carter, intervistato dall’ABC. Prima di rifugiarsi nel no comment, il capo del Pentagono ha ricordato che l’ipotesi della bomba è “coerente con quel che sappiamo”, ma non è l’unica possibile.
Nel frattempo, le compagnie aeree cercano fra mille difficoltà di far rientrare i turisti rimasti bloccati in Sinai. Stamattina Hossam Kamal, ministro dell’Aviazione civile egiziano, aveva annunciato che i voli da Sharm el-Sheikh sarebbero partiti “regolarmente, parallelamente alle misure di sicurezza”. Oggi sarebbero dovuti partire 74 aerei, di cui 29 britannici e 27 russi (contro tre dall’Italia).
A metà mattina, invece, le autorità egiziane hanno impedito la partenza di sette voli EasyJet. Altri due aerei con le insegne della compagnia low cost inglese sono riusciti invece a partire, perché quando è stato dato l’ordine erano già in pista. I passeggeri degli altri – inclusi quelli che avevano superato tutti i controlli e stavano aspettando soltanto l’imbarco – sono stati avvertiti all’ultimo momento con un sms privo di spiegazioni e sono stati costretti a rimanere a terra; molti sono tornati negli hotel dove alloggiano.
Solo più tardi, il ministro Kamal ha spiegato di aver chiesto a EasyJet di ridurre i voli organizzati per oggi: “otto voli al posto dei 18 richiesti”.
Intanto dall’Europa si ricomincia a partire per Sharm el-Sheikh. Ieri l’ENAC ha disposto alle compagnie aeree italiane di effettuare controlli di sicurezza per conto proprio, in aggiunta a quelli ordinati dalle autorità aeroportuali egiziane.
Il primo charter italiano dopo la tragedia partirà domani alle 11.15 di mattina da Fiumicino. Come circa il 60% dei voli per il Sinai, farà scalo a Marsa Alam, altra località turistica sulla costa egiziana del Mar Rosso.
F.M.R.
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