6-1 6-3. Speculari. A senso unico. Dominate da colui e colei che sa di essere il/la più forte del momento. In un certo senso, un peccato che gli Internazionali di tennis di quest’anno – che passeranno alla storia come il torneo che, in barba alla crisi, ha frantumato ogni record possibile e immaginabile , dal numero di spettatori ( 167.961, oltre 2000 in più dell’anno scorso) all’incasso (6.453.070, con un lusinghiero + 25% rispetto al 2012) agli ascolti sul canale tematico della Federtennis (SuperTennisTv) – si siano chiusi con due finali di grande prestigio, visti i nomi in cartellone, ma prive di pathos e mai in discussione sin dalle prime battute.
1-0 e 30-30. Tanto è durata la partita di Roger Federer. Poi, il buio. O, meglio, come ebbe a dire un suo collega qualche anno fa, dopo aver ricevuto simile trattamento dal maiorchino, “Dune. Dune. Quando giochi con Nadal sulla terra, vedi solo dune”. All’ex re Roger è capitata esattamente la stessa cosa. Quello che non gli era mai capitato, invece, era di subire l’umiliazione dei fischi di un pubblico che, qui come quasi ovunque, stravede per lui ma non poteva accettare passivamente quello strazio e pretendeva, in assenza dello spettacolo (quello, gira che ti rigira, lo può garantire solo l’equilibrio) una reazione d’orgoglio da parte dello svizzero. Che è arrivata, molto tardiva e piuttosto simile a una fiammella, quando si stava ormai per materializzare un agghiacciante 6-1 6-1. Lì, un break, un servizio finalmente tenuto, poi l’ovvia conclusione con Rafa per la settima volta in carriera a braccia alzate sul centrale e poi con i denti sulla coppa. L’immagine simbolo di questa mattanza: un tentativo di drop shot di Federer con la palla che non arrivava neanche alla metà del campo dell’elvetico. Eppure, lo svizzero si è impegnato e, nonostante le parole al miele dedicate all’avversario in conferenza stampa, la sconfitta gli ha fatto male. Ma questa è un’aggravante.
Di Nadal che dire? Al di là dei freddi numeri che ci dicono che ha messo la firma anche sul capitolo n. 30 dell’infinita saga con Federer (ora sono 20-10 i precedenti a favore dell’iberico), ha migliorato il suo stesso record risalente alla finale del 2007 (un’ora e 24 minuti per rifilare un comodo 6-2 6-2 a Gonzalez, solo sessantanove minuti per sbranare Federer ieri), ha ottenuto il suo 56° successo in carriera (il 24° in un Master 1000) di cui ben sei dal rientro di quest’inverno (e nelle altre due occasioni in cui non ha vinto, è arrivato in finale). È proprio il rendimento stupefacente raggiunto in tempi record dopo il rientro dall’infortunio che lo aveva costretto ai box per sette mesi a lasciare a fare sensazione. Sembra tornato quello del 2008 (la sua miglior stagione) o giù di lì. Eppure, ora ha 27 anni e un fisico provato da acciacchi in serie. Da oggi tornerà il legittimo proprietario della posizione n. 4 del ranking, ma nella “race” il suo dominio è assoluto. Probabile chiuda al n. 1 entro la fine dell’anno. Ma è l’insaziabile fame di vittorie nonostante tutto il suo vero marchio di fabbrica. Come si addice ad un tiranno.
In campo femminile, Serena Williams ha completato una quindici giorni a dir poco fantastica e così, dopo aver rotto un digiuno sulla terra che durava da ben 11 anni (!) disintegrando la Sharapova nella finale di Madrid, si è ripetuta in toni forse ancor più convincenti qui al Foro (e sempre ad 11 anni di distanza dall’ultima vittoria romana), asfaltando una pur combattiva Victoria Azarenka , n. 3 Wta, e già capace di battere Serenona a Doha quest’anno. Un conto che evidentemente la più piccola delle Williams sisters voleva saldare. A modo suo. Con uno show di potenza che solo lei sa produrre. Anche qui, equilibrio solo nei primi due games che la bielorussa avrebbe potuto far suoi (nel primo era addirittura 40-0) e poi la cavalcata trionfale, con solo un pizzico d’emozione regalato da un tardivo tentativo di risalita della Azarenka che, sul 2-4 nel secondo set, recuperava il break salvo poi riconsegnarsi all’avversaria con il doppio fallo del 3-5. Al momento, non si vede come Serena possa non annettere al suo regno anche Parigi dove non trionfa dal 2002. E ci risiamo con la cabala del numero 11. Comunque andrà la campagna di Francia, merita un plauso per averci regalato questa seconda, incredibile, giovinezza.
Un’ultima nota, purtroppo amara per i nostri colori: le due Cichi, Sara Errani e Roberta Vinci, n. 1 al mondo nella specialità, non sono riuscite a bissare il successo dell’anno scorso, perdendo un’abbordabile finale del torneo di doppio contro la Su-Wei Hsieh e la Shuai Peng per 4-6 6-3 10-8. Fatale, dunque, il super tie break del terzo set dove non è stato sufficiente risalire da 3-8 a 8-9 con match point annullato annesso. Peccato perché era iniziata bene. Ma almeno Sarita, dopo l’eccellente percorso culminato con la prima semifinale di un’italiana dopo 28 anni, potrà consolarsi con il suo best ranking: n. 5 Wta. Solo la Schiavone era riuscita a far meglio.
D.P.
Napoletano, 44 anni, giornalista professionista con 17 anni di esperienza sia come giornalista che come consulente in comunicazione. Ha scritto di politica ed economia, sia nazionale che locale per diversi giornali napoletani. Da ultimo da direttore responsabile, ha fatto nascere una nuova televcisione locale in Calabria. Come esperto, ha seguito la comunicazione di aziende, consorzi, enti no profit e politici. Da sempre accanito utilizzatore di computer, da anni si interessa di internet e da tempo ne ha intuito le immense potenzialità proprio per l'editoria e l'informazione.
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