Pinilla urla tutta la sua gioia
La terza giornata di campionato propone già una classifica dalla fisionomia che, almeno per quanto riguarda la lotta al vertice, pare delineata come da pronostici della vigilia: Roma e Juve in fuga e a punteggio pieno; le altre, tutte, chi per un motivo chi per un altro, dietro ad annaspare.
Tèvez sfoggia il ciuccio-gol a S.Siro
La Juve, nell’anticipo del sabato sera, ha sbancato S.Siro, battendo 1-0 il Milan che, pur tra mille difficoltà, aveva raccolto 6 punti nelle prime due gare e si presentava, sotto gli occhi del presidente Berlusconi, quantomeno carico di entusiasmo, grazie alla cura-Inzaghi. I bianconeri hanno vinto senza neanche dover pigiare più di tanto sull’acceleratore, mantrenendo per tutti i 90 minuti il controllo del ritmo e il possesso della palla. Tante ma neanche troppe le palle-gol create dagli uomini di Allegri che un ritorno così al Meazza lo aveva sognato sin dal giorno della firma a Torino. Pochissimi i rischi corsi (un colpo di testa di Honda e qualche caduta sospetta in area bianconera nel convulso finale) dai campioni d’Italia. Milan costantemente indietro a protezione dello 0-0 di partenza e incapace di imbastire anche le più elementari delle trame: squadra affidata solo alle sporadiche ripartenze avviate dai palloni rubati da De Jong e Muntari, non certo dei fini dicitori. Francamente, troppo poco per giustificare non solo il primato condiviso ma anche il clima di grande euforia che una vittoria molto legata ad episodi favorevoli come quella ottenuta con la Lazio e quella rocambolesca nella gara più densa di errori di cui si abbia memoria, cioè quella con il Parma (peraltro, falcidiato dale assenze) avevano ingenerato. Bluff rossonero smascherato, dunque. Una dimostrazione di inadeguatezza alla lotta al vertice da parte rossonera che si è perfettamente sposata con quella di disarmante superiorità da parte dei bianconeri. Il gol partita lo ha messo a segno, neanche a dirlo, Carlitos Tèvez, alla quarta marcatura in tre partite ufficiali, a conferma dello stato di forma eccellente dell’Apache. I rimpianti a Buenos Aires e dintorni per non averlo visto all’opera in Brasile ormai si sprecano.
Ritorno amaro per Zeman all’Olimpico
Alla Juve ha subito risposto la Roma, impegnata la domenica pomeriggio all’Olimpico in una sfida da amarcord carico di suggestioni contro il Cagliari del suo “vecchio maestro” Zeman ( e il fatto che in molti, nella Capitale, lo rimpiagano ancora rimane un mistero gaudioso): la partita non è stata più tale dopo solo un quarto d’ora di gioco. Anche qui, si sono combinate perfettamente la forza e la sicurezza nei propri mezzi di una squadra, quella di Garcia, che trasuda fiducia da tutti i pori, con l’inconsistenza della formazione isolana, troppo molle e arrendevole e mai pericolosa neppure dopo il repentino doppio schiaffo. Una rimpatriata, quella di Zeman, che più amichevole di così non poteva essere, con spazio anche per il siparietto da libro cuore di Florenzi che abbracciava la nonna Aurora, per la prima volta in tribuna ad ammirare le gesta del nipote. Una squadra, il Cagliari, che ancora non è zemaniana, ma ormai non è neppure “normale” (gli spazi di cui hanno goduto Gervinho, Florenzi e Destro in occasione delle due reti non sono affatto usuali): un ibrido che necessita ancora di moltissimo lavoro per esser messo a punto.
Dopo il 2-0, pura accademia giallorossa. Garcia non poteva chiedere di meglio, dopo le fatiche (neppure troppe, in verità) di Champions e in vista del primo turno infrasettimanale di A. Gli infortuni di Castàn, Strootman, Iturbe e Astori non si sono fatti minimamente avvertire e i loro sostituti stanno non solo degnamente surrogando gli assenti ma anche risolvendo le pratiche che il calendario nazionale e internazionale propone alla Roma con una facilità e una velocità tali da rendere questa sqadra una sorta di rullo compressore. E le energie risparmiate saranno tutta benzina in più per i momenti più “caldi” della stagione.
Florenzi tra le braccia di nonna Aurora dopo il gol del 2-0
Lulic, tra i migliori in campo a Genova
Quanto alla Lazio, quello vissuto dai biancocelesti a Marassi è stato un pomeriggio a dir poco surreale: ben nove palle gol nitide, con tanto di traversa a corollario (colta da Djordjevic) nel solo primo tempo. La più bella e convincente Lazio formato-trasferta dai tempi della “banda Mancini”. Non solo non è bastato per portare a casa i meritatissimi tre punti, ma, complice un evidente calo d’intensità nella ripresa, l’impossibilità per Pioli di effettuare i cambi programmati (tutte le sostituzioni erano state bruciate per avvicendare i tre infortunati) e, nel finale di partita, l’espulsione per doppio giallo di un De Vrij finalmente all’altezza delle prestazioni in maglia oranje, ha dato la stura alla più crudele delle applicazioni della regola non scritta del “gol sbagliato gol subito”. E non che il Genoa avesse fatto alcunchè per meritare il vantaggio, salvo una spaccata a lato del neoentrato Pinilla. Le prove generali della rete decisiva. E così, per la settima (!) volta di fila, tra Olimpico e Marassi, la Lazio cede tre punti al Grifone, ormai più che una bestia nera.
Gentiletti si tiene la gamba: crociato anteriore crack, out 6 mesi
Sarebbe andata malissimo, ma si sarebbe rimasti nell’alveo del possibile. Il problema è che le disgrazie non si sono limitate al risultato del campo: oltre a De Vrij, che salterà l’Udinese per squalifica, Pioli dovrà fare a meno per ben 5 o 6 mesi del centrale argentino Santiago Gentiletti, autore di una prova magistrale ieri sino all’infortunio così come con il Cesena, dell’esterno destro Dusan Basta, per il quale comunque i sanitari biancocelesti contano di riuscire in un recupero-lampo grazie ad un tutore che dovrebbe proteggere la contusione al metatarso della mano destra (per fortuna non ci sono fratture) e del centrale di centrocampo, Lucas Biglia, il cui “trauma contusivo capsulare del primo dito del piede destro con infrazione ossea dell’osso sesamoide e della testa metatarsale“, lo costringerà a marcer visita forse per tre mesi. Molto grave, è evidente, soprattutto l’infortunio del centrale difensivo che, da ultimo arrivato (reduce dal successo in Libertadores con il San Lorenzo), si era già preso le chiavi del pacchetto arretrato della squadra, ma la prognosi dei medici della clinica Paideia (“lesione completa del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro“) non lascia spazio ad alcun esercizio di ottimismo. Contro l’Udinese, giovedì, si tornerà probabilmente all’antico: cioè alla difesa, tremebonda dell’anno scorso, con Konko (salvo un miracoloso recupero di Basta) a destra e Cana e Ciani (o Novaretti) centrali. Per fortuna ci sarà ancora, in luogo di un altro infortunato eccellente, Stefan Radu, l’olandese Braafheid a sinistra, instancabile stantuffo sia con il Cesena che a Marassi.
Sconfitto anche ad Udine, per il Napoli è buio pesto
Braafheid, altro pilastro della difesa, giovedì ci sarà
Infine, vale la pena soffermarsi sulla situazione incandescente che si sta creando all’ombra del Vesuvio dove, dopo l’eliminazione patita in Champions per mano dell’Athletic Bilbao, le cose stanno andando, se possibile, anche peggio in campionato con la seconda sconfitta in tre partite (tacendo della fortunosa vittoria di Genova colta a tempo abbondantemente scaduto e contro un Genoa che, finchè aveva avuto benzina nel serbatoio, aveva meritato i tre punti più dei partenopei). I nodi sono venuti impietosamente al pettine anche ad Udine dove Danilo ha castigato una formazione, onestamente talmente improponibile da far pensare ad una provocazione di Benitez per mettere la società, immobile sul mercato, di fronte alle proprie, enormi, responsabilità. Diversamente non si spiega la panchina per Hamsik, Inler, Callejòn e, soprattutto, Mertens, di gran lunga il miglior giocatore in organico e anche in gran condizione. Un atto dimostrativo di un tecnico che sente evidentemente puzza di bruciato e non vuole passare per l’unico capro espiatorio agli occhi di una piazza sempre più delusa. Ma, pur comprendendo il disagio del signor Benitez e pur rimarcando le mancanze di De Laurentiis, l’appassionato pubblico napoletano non merita quest’ulteriore affronto. Reja continua a fsarsi vedere: con ogni probabilità non sarà il friulano ad esser chiamato al capezzale del Napoli, ma è chiaro che il tecnico spagnolo abbia le ore contate e solo un calendario che non concede respiro sta procrastinando un addio che pare inevitabile.
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