La sfida dell’anno, la finale anticipata di Champions 2013/14 tra Bayern e Real si è conclusa con un’autentica mattanza a favore dei “blancos”. Uno 0-4 all’Allianz Arena che non ammette recriminazioni e discussioni. Rummenigge aveva tuonato alla vigilia: “Sarà fuoco e fiamme”. E’ stato, invece, un uragano bianco quello che si è abbattuto sull’avveniristica “casa” degli ormai ex campioni d’Europa.
Eroe di giornata e match-winner, tra tante stelle, quella che meno ti aspetti: Sergio Ramos. Senza nulla voler togliere alle 2 reti, al quasi-gol da distanza siderale, allo stoicismo nel superare il dolore di un intervento da codice penale di Dante (perché non il rosso, Proença?) e allo straordinario record di 16 reti (to be continued…) in una sola edizione di Champions di CR7 (superati Altafini e Messi), è stato proprio il difensore del Real e della nazionale, con due esecuzioni quasi in fotocopia, a scrivere la parola fine alla tenzone, bruciando in ambedue le occasioni una sonnolenta difesa a zona del Bayern.
Ma se sul rettangolo di gioco il protagonista assoluto è stato Ramos, dalla sfida tra panchine illustri ne esce da trionfatore il nostro Carletto Ancelotti. Sul cui conto in molti, nella dirigenza madri dista, da Perez in giù, dovranno ricredersi. Comprensibile che dopo tre anni di “Mourinhismo”, accentratore e prima voce indiscussa nello spogliatoio quanto nelle conferenze stampa, l’ambiente madridista impiegasse un po’ ad abituarsi ad uno stile molto più composto e sobrio come quello del tecnico emiliano e che lo stesso Ancelotti pagasse lo scotto di dover succedere ad un predecessore così ingombrante, ma Carlo avrebbe meritato, da tempo, una considerazione ben maggiore. Ha dovuto attendere, invece, questo aprile di fuoco per convincere anche i suoi più accaniti detrattori. In due settimane, Copa del Rey, finale di Champions a spese degli strafavoriti (e pure un po’ strafottenti) campioni in carica, con l’ossessione della dècima a portata da piede e Liga riaperta.
E pensare che l’appunto più ricorrente che gli veniva mosso era di non vincere le sfide-chiave (leggasi, i due tonfi in Liga con il Barça e quello dell’andata con l’Atletico)…
Nella partita dell’Allianz, più ancora che all’andata al Bernabeu, Ancelotti ha dimostrato di conoscere benissimo l’antidoto al tiki taken di Guardiola. Ha difeso, ma senza ergere barricate alla Mourinho, è ripartito, ma non solo quando ha potuto come una settimana fa, ma come e quando ha voluto e per il possesso palla teutonico è stato tilt. Ridotto ad un mero esercizio di onanismo.
Di qui, però, a decretare (come quasi tutta la stampa odierna) il de profundis di Guardiola e del suo calcio ce ne corre. Certo,la sua creatura “originaria”, il Barcellona, chiuderà verosimilmente con una misera Supercoppa di Spagna in bacheca e il suo tiki taken nell’ibridata versione tedesca ha preso una stesa epocale (mai il Bayern aveva perso in casa un match internazionale con tale scarto), ma pensare che un gioco che ha incantato il mondo sia divenuto improvvisamente arcaico sarebbe un errore. Oltre che ingiusto nei confronti del suo profeta.
Il Barcellona non vince più come prima semplicemente perché quello splendido gruppo di campioni che lo compongono è arrivato al capolinea di un ciclo, probabilmente inarrivabile per chiunque per chissà quanto tempo. Anagrafe e pancia piena, i mali oscuri dei blaugrana.
Per il Bayern ha probabilmente pesato la distribuzione dei carichi di lavoro che ha visto i bavaresi giocarsi il primo trofeo stagionale già ad agosto con la Supercoppa Europea (peraltro vinta), proseguita con una fase a gironi di Champions dominata e archiviata con rassicurante anticipo, un Mondiale per club vinto passeggiando a dicembre, una Bundesliga mandata in soffitta già a fine marzo (mai accaduto prima) e una finale già guadagnata in Coppa di Germania. Certi sforzi hanno un prezzo. E i picchi di rendimento probabilmente sono stati programmati con maggior anticipo del dovuto credendo di poter raggiungere il traguardo di conserva. E il possesso palla insistito, così come la filosofia (anche di vita) che lo sottende presumono come condicio sine qua non che la condizione psico-fisica dei suoi interpreti sia ottimale. In particolare, la palla deve viaggiare spedita. Se lo si fa al rallentatore, diventa inutile se non controproducente. E’ anche il limite endemico di questo sistema. Le squadre addestrate a praticarlo raramente si dotano di un piano B. O quello A funziona alla perfezione o è notte fonda. Ma è un limite di una filosofia da molti tecnici abbracciata. Da Cruijff a Sacchi a Van Gaal a Pep. Non è un limite precipuo di Guardiola. Se lo si sceglie si conoscono anche le possibili controindicazioni nei momenti di vacche magre. Beckenbauer dovrebbe saperlo, avendo giocato e vinto contro la grande Olanda, e mostrare più rispetto verso il suo tecnico, comunque autore di una stagione, per tutto il resto, da incorniciare.
Stasera, conosceremo il nome dell’altra finalista ma quale che sia, Chelsea o Atletico Madrid, avremo due certezze: sarà una finale carica di suggestioni ( o un assoluto inedito come una finale-derby o la sfida tra i due ultimi inquilini della panchina “merengue”) e il Real vi si presenterà, in ogni caso, da favorito.
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