Il presidente Recep Tayyip Erdogan si è ripreso la Turchia, ma la tensione resta altissima anche dopo il voto.
Oggi un giovane di 20 anni è rimasto gravemente ferito in una sparatoria a Istanbul, di fronte al palazzo presidenziale di Tarabya. Ancora poco chiara la dinamica dei fatti. All’inizio sembrava fosse stato colpito dalle guardie di sicurezza, ma più tardi l’ufficio di presidenza ha riferito un’altra versione: l’uomo avrebbe provato a suicidarsi con la pistola d’ordinanza di una guardia di sicurezza, dopo aver tentato inutilmente di forzare il blocco all’ingresso del palazzo.
Nelle elezioni dello scorso fine settimana il partito del presidente, Giustizia e Sviluppo (AKP), ha ottenuto il 49,5% dei voti e la maggioranza assoluta dei seggi, e potrà governare da solo.
“La volontà nazionale si è manifestata a favore della stabilità”, ha commentato il presidente della Repubblica, che ha invitato polemicamente il mondo a rispettare il risultato delle urne con “maturità”. “Grazie a Dio, oggi è il giorno della vittoria della nostra nazione”, ha detto Ahmet Davutoglu, premier dal 2009, che ora potrà formare un nuovo esecutivo politico, dopo aver guidato per gli ultimi cinque mesi un governo di unità nazionale incaricato di traghettare il Paese alle elezioni.
Ad accogliere il responso con rabbia, invece, sono stati soprattutto i curdi, nel sudest del Paese, che speravano di riuscire ad arginare lo strapotere del partito e del suo leader così com’era successo a giugno. Dopo una campagna elettorale all’insegna della tensione, con scontri che hanno fatto vittime sia tra gli indipendentisti sia nell’esercito di Ankara, e intimidazioni dell’esercito segnalate dagli osservatori anche durante le operazioni di voto, gli insoddisfatti hanno manifestato animatamente il loro dissenso: a Diyarbakir sono state erette barricate e appiccati incendi, e la polizia ha risposto con i lacrimogeni.
La delegazione dell’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione in Europa (OCSE) ha definito la tornata elettorale “generalmente tranquilla” e lo spoglio delle schede “trasparente”. Sul giudizio positivo pesa però una riserva importante: “Anche se i cittadini turchi potevano scegliere tra reali e forti alternative politiche in queste elezioni altamente polarizzate, il rapido declino nella varietà dei mezzi di comunicazione e le restrizioni alla libertà di espressione hanno influenzato il processo e destano preoccupazione”, si legge nel comunicato ufficiale.
I curdi non sono i soli ad essere sorpresi dall’esito delle elezioni: anche molti osservatori indipendenti si aspettavano numeri simili a quelli di giugno, quando la formazione di Erdogan era rimasta – per la prima volta dal 2002 – sotto la soglia della maggioranza assoluta, e il suo rifiuto di scendere a compromessi con altre forze politiche aveva reso inevitabili le elezioni anticipate.
Questa volta, invece, la vittoria è stata netta: 317 deputati sui 550 membri del Meclis, la camera unica del Parlamento di Ankara, e percentuali di voto vicine al 50% a Istanbul e Ankara. Anche a Smirne, terza città del Paese roccaforte storica dei kemalisti repubblicani del CHP (“Partito popolare repubblicano”), l’AKP ha guadagnato cinque punti e superato la soglia psicologica del 30%.
Come a giugno, altri tre partiti hanno superato la soglia di sbarramento nazionale del 10%. Si tratta del CHP (134 seggi), dei nazionalisti del MHP (“Partito del movimento nazionalista”, 40 seggi) e dei democratici filocurdi dell’HDP (“Partito democratico del popolo”).
L’HDP ha ottenuto appena il 10,8% delle preferenze e ha superato di pochissimo la soglia di sbarramento, ma i suoi voti si sono concentrati nelle circoscrizioni sudorientali, nelle regioni abitate in maggioranza dai curdi, il che ha permesso al partito di ottenere 59 seggi. Rispetto a giugno scorso il partito ha perso circa un milione di voti, ma è riuscito a superare il MHP come terza forza parlamentare. I nazionalisti infatti hanno fatto ancora peggio: hanno ricevuto l’11,9% dei voti, perdendone un terzo rispetto a giugno, non hanno ottenuto la maggioranza relativa in nessuna circoscrizione e si sono fermati a 40 rappresentanti. Visto che la percentuale di votanti resta decisamente alta – si è presentato alle urne circa l’85% degli aventi diritto, un punto in più rispetto alle consultazioni precedenti – si può concludere che gli ex elettori del MHP si siano riversati sull’AKP e abbiano fatto la differenza.
Il partito di Erdogan può festeggiare una vittoria importante, ma non ha raggiunto quello che secondo gli analisti era il suo obiettivo più ambizioso: ottenere 367 seggi, due terzi dei parlamentari, per poter riformare la costituzione in senso presidenziale. Quindi, se Erdogan ha ancora intenzione di conferire maggiori poteri a se stesso, sarà ancora costretto a scendere a patti con gli altri partiti; tanto più che alla fatidica soglia dei due terzi non si arriva nemmeno sommando agli onorevoli dell’AKP quelli nazionalisti, che in passato hanno sostenuto altri progetti di riforma di Erdogan. Il loro appoggio, però, potrebbe bastare per avviare un procedimento di revisione costituzionale tramite un referendum.
Filippo M. Ragusa
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