Non c’è storia, questo film o lo si disprezza o lo si ama. “Il racconto dei racconti” di Matteo Garrone a Cannes ha prima riscosso giudizi freddi e negativi da parte della critica, per ricevere il giorno dopo 7 minuti di applausi da parte di un pubblico entusiasta. Su twitter accade più o meno lo stesso, si alternano note di forte biasimo a commenti che manifestano grande apprezzamento. Tuttavia c’è un aspetto di questo costosissimo film che mette tutti d’accordo: le scenografie davvero da favola.
L’operazione compiuta da Garrone era ardita e il suo progetto ambizioso: recuperare un testo di fiabe dei primi del 1600 scritto in dialetto napoletano e proporne al pubblico i temi più attuali, che oggi come ieri, interpellano l’uomo nel suo intimo. Ne risulta un fantasy dai toni tutti continentali che legge e propone le fiabe nella loro versione originale, senza l’incanto a cui la Disney ci ha abituati. Il racconto proposto da Garrone si permette così di indugiare in modo un po’ morboso sugli aspetti più crudi e raccapriccianti che, se pure nell’originale ci sono, nel testo letterario hanno una funzione catartica difficile da ritrovare nel film.
Si potrebbe definire un film sull’uomo e sulle sue brame incontenibili, i vizi che lo degradano e lo accecano e le paure profonde che lo attanagliano e che in un modo o nell’altro sfociano nella violenza. Le novelle di Basile però, autore del testo letterario a cui il film si ispira, si possono definire per forma e linguaggio barocche e metaforiche, mentre il film di Garrone è invece un fantasy surreale, spesso inquietante e a tratti orrifico. La sostanza del racconto si disperde in mille ricercatezze formali, estetiche ed oniriche che confondono e appesantiscono la storia. Forse tre fiabe erano troppe e Garrone ha tentato di dare unità alla piccola porzione di un racconto ben più corposo, difficile da adattare al cinema.
Tuttavia rimane incontestabile un fatto che, comunque vada a Cannes, riempie già di orgoglio noi Italiani: la parte più bella del film è tutta costituita da alcuni dei tanti capolavori paesaggistici offerti dal Bel Paese. Le splendide sale in stile moresco del castello di Sammezzano nei pressi di Leccio (Firenze) hanno ospitato gli ambienti interni del palazzo reale in cui la regina di Longtrellis (Salma Hayek) si consuma nel desiderio di avere un figlio, mentre il famoso, bianco Castello di Donnafugata a Ragusa ha offerto la location per gli esterni neogotici, nonché per la scena della corsa della madre e del figlio nel labirinto di pietra. Lo stupefacente ambiente naturale offerto dalle Gole di Alcantara (Giardini di Naxos) è stato il set in cui si sono svolte le riprese della scena in cui il re di Longtrellis (Jhon C. Reilly) uccide il drago marino. Le mura difensive del Castello di Roccascalegna in provincia di Chieti hanno rappresentato il luogo in cui invece è ambientato il racconto del re di Strongcliff (Vincent Cassel) e delle due vecchie. Infine non può passare inosservato il bellissimo edificio ottagonale di Castel del Monte, in Puglia, risalente all’epoca di Federico II, nei cui interni ed esterni si sono svolte le vicende del racconto della pulce e del re di Highhills (Toby Jones). Mentre la terribile esperienze della principessa Viola (Babe Cave) costretta a sposare un orco (Guillame Delaunay) è stata ambientata nelle suggestive grotte vicine a Mottola (Taranto). Ma anche Palazzo Reale a Napoli, Palazzo Vecchio a Firenze e i paesaggi di Sovana e Sorano in provincia di Grosseto hanno offerto il loro contributo per impreziosire le scenografie spettacolari, e tutt’altro che di fantasy, di questo imponente racconto cinematografico.
Vania Amitrano
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