Mentre l’Austria non cede sui controlli dei migranti alla frontiera del Brennero, il governo italiano spera che la “blindatura del confine” da parte di Vienna, come poche settimane fa l’aveva definita il sindaco di Treviso Renato Carlantoni, sia solo temporanea e che l’incubo più grande non si realizzi: la chiusura del valico di frontiera tra Italia e Nord Europa.
“Confidiamo che Vienna non prenderà decisioni unilaterali nei prossimi mesi. E che l’Austria continuerà a collaborare strettamente con noi nella crisi dei profughi”, ha affermato il il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni nell’ntervista al quotidiano austriaco Die Presse. Il commento del ministro era riferito all’annuncio del ministro dell’interno di Vienna Johanna Mikl-Leitner di controlli ai confini con il Brennero per la fine di maggio.
La Leitner aveva parlato in particolare della costruzione di un centro d’identificazione e un posto di polizia in Carinzia, che confina con le regioni del Veneto e del Friuli Venezia Giulia.
Del resto, “Dei nuovi profughi in arrivo – di “identificarli e gestirli” – dovrà occuparsi l’Italia”, aveva detto, affermando che “l’impegno dovrà concentrarsi sull’integrazione di chi ha ottenuto il diritto a restare”.
Fuor da tiepide assicurazioni, i controlli sul Brennero sono il risultato prima di tutto di una vittoria politica: quella del Partito della Libertà (Fpoe) di Norbert Hofer, attuale presidente austriaco, andato in testa al primo turno di votazioni con il 35,5 per cento dei voti, battendo il candidato verde Alexander van der Bellen. Un partito, quello di Hofer, che predilige una dura linea anti-immigrazione e che suona il buon vecchio spartito, sempre efficace in tempi di crisi, della protezione dell’identità nazionale.
Ma, segnale politico a parte, la chiusura del Brennero equivarrebbe davvero a chiudere il passaggio dei migranti con l’Austria e attraverso quella via, con il Nord Europa? Secondo l’alpinista altoatesino Hanspeter Eisendle “Non esistono confini invalicabili”, basterebbe “attraversare il confine a piedi attraverso le montagne, come fecero in passato i contrabbandieri”.
L’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano aveva definito la svolta di Vienna come la “ricerca di false soluzioni per problemi complessi come quello dei migranti”. Eppure, la Storia della Repubblica di Weimar ce lo insegna, quando c’è la crisi economica nulla rende di meno, in termini di accumulo di voti, di una politica democratica, con i suoi tempi lunghi, i suoi tavoli di lavoro e l’obbligo di ascoltare i punti di vista delle varie parti chiamate in causa.
Ancora più pericoloso il caso in cui la pratica della democrazia venga rosa dall’interno dal tarlo della superficialità, della corruzione, della retorica vuota. Nel caso della Germania del ’19 c’era un paese umiliato da ricostruire. Ora in gioco sembra ci sia il destino dell’Europa intera oltre che di milioni di profughi.
P.M.
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