Non una presa di posizione politica quanto la constatazione di “una realtà storica e attuale”, quella di Donald Trump di riconoscere Gerusalemme quale capitale di Israele. Decisione frutto di una promessa avanzata da tempo e che il presidente americano insiste per mantenere. Si conferma anche l’avvio dell’iter per il trasferimento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, che non avverrà però nell’immediato, ma attraverso un processo che durerà qualche anno. Di sicuro per i prossimi sei mesi almeno la sede diplomatica resterà ancora a Tel Aviv, per disposizione dello stesso presidente. E le fonti della Casa Bianca che confermano lo strappo – dopo che lo stesso Trump aveva effettuato una serie di telefonate con leader internazionali, a partire dai diretti interessati il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il leader dell’Autorità palestinese Abu Mazen – insistono nel sottolineare che si tratta quasi di una ‘constatazione dell’ovvio’, sganciata tra l’altro dal processo di pace su cui l’amministrazione Usa esprime immutata determinazione. La Casa Bianca teme comunque possibili manifestazioni di protesta e disordini determinati dalla decisione del presidente Trump, al punto che lo stesso Consolato degli Stati Uniti a Gerusalemme ha diramato un comunicato in cui invita il personale americano, i loro familiari e in più in generale i cittadini americani, ad evitare spostamenti non essenziali in parti della città e in Cisgiordania in vista di possibili manifestazioni. Mentre è stato anche deciso il riposizionamento di un piccolo gruppo di truppe americane in prossimità dei Paesi dove si temono disordini.
“Il mio pensiero va ora a Gerusalemme. Al riguardo, non posso tacere la mia profonda preoccupazione per la situazione che si è creata negli ultimi giorni e, nello stesso tempo, rivolgere un accorato appello affinché sia impegno di tutti rispettare lo status quo della città, in conformità con le pertinenti Risoluzioni delle Nazioni Unite”. Così il Papa in udienza generale, invitando a “saggezza e prudenza, per evitare di aggiungere nuovi elementi di tensione in un panorama mondiale già convulso e segnato da tanti e crudeli conflitti”. Gerusalemme – ha detto il Pontefice nel suo appello – è una città unica, sacra per gli ebrei, i cristiani e i musulmani, che in essa venerano i Luoghi Santi delle rispettive religioni, ed ha una vocazione speciale alla pace”. “Prego il Signore – ha concluso Francesco – che tale identità sia preservata e rafforzata a beneficio della Terra Santa, del Medio Oriente e del mondo intero e che prevalgano saggezza e prudenza, per evitare di aggiungere nuovi elementi di tensione in un panorama mondiale già convulso e segnato da tanti e crudeli conflitti”.
In agitazione diversi paesi mediorientali e non solo: sia la Francia che la Turchia, con toni diversi, hanno espresso molta preoccupazione per questa eventuale decisione che dovrebbe essere chiarita nelle prossime ore dallo stesso Presidente americano in un discorso alla National Defense University. Stando a quanto riporta la stampa francese citando un comunicato dell’Eliseo, il presidente Emmanuel Macron, al termine di una conversazione telefonica con Trump nella tarda serata di lunedì, “ha ricordato che la questione dello status di Gerusalemme dovrà essere regolata nel quadro dei negoziati di pace tra israeliani e palestinesi”. I due hanno convenuto sull’opportunità “di riaffrontare a breve l’argomento”.
Per il ministro degli Esteri tedesco, Sigmar Gabriel, la decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme quale capitale di Israele sarebbe “controproducente”. “Una soluzione del problema di Gerusalemme può essere trovata solo attraverso negoziati diretti tra le due parti”, ha dichiarato Gabriel. “Qualunque cosa provochi una escalation della crisi in questa fase è controproducente”, ha aggiunto.
Il segretario generale della Lega Araba, Ahmed Abul Gheit, considera “pericolosa” una eventuale decisione dell’Amministrazione Usa di trasferire l’ambasciata americana a Gerusalemme, riconoscendo la città come capitale di Israele. Nel suo intervento alla riunione d’emergenza della Lega Araba dedicata a Gerusalemme, Abul Gheit ha affermato che la riunione è stata convocata per “inviare un chiaro messaggio agli Stati Uniti sul fatto che adottare questa pericolosa misura avrà conseguenze e ripercussioni”. Il segretario generale ha avvertito che “una decisione come questa” da parte degli Usa “porrà fine al ruolo statunitense come mediatore credibile nel patrocinare una soluzione tra i palestinesi e la forza d’occupazione” israeliana, così come “porrà fine a qualsiasi chance concreta di rilanciare un processo politico significativo tra palestinesi e Israele”.
Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha avvertito che un eventuale riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele da parte dell’Amministrazione Usa potrebbe portare a una “rottura” delle relazioni tra la Turchia e lo Stato ebraico. “Potremmo spingerci fino alla rottura dei rapporti diplomatici con Israele”, ha detto Erdogan. Prima di Erdogan era intervenuto su Twitter il portavoce della presidenza turca, Ibrahim Khalin, per esprimere “profonda preoccupazione” e mettere in guardia Washington da quello che Ankara considera come un “errore fatale”.
La replica di Israele non si è fatta attendere. “I giorni del sultano e dell’impero ottomano sono finiti” la risposta a Erdogan del ministro dell’Intelligence israeliano, Yisrael Kazt. In un comunicato il ministro Katz ha messo in chiaro: “Noi non accettiamo ordini o minacce dal presidente della Turchia, perché Israele è uno Stato sovrano e la sua capitale è Gerusalemme”.
Anche altri responsabili israeliani si sono affrettati ad attaccare Erdogan per le sue dichiarazioni, benché moniti simili siano stati pronunciati anche da Arabia Saudita, Giordania e altri Paesi arabi. Fonti diplomatiche israeliane hanno messo in evidenza che “Gerusalemme è la capitale del popolo ebraico da 3.000 anni e la capitale d’Israele da 70 anni, che Erdogan lo riconosca o meno”.
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