Intervista a Gianni Pacinotti, che dopo i lungometraggi torna al disegno con un attesissimo graphic novel.
Gipi (ph. O. Trinchi)
Il graphic novel Una storia (Coconino Press-Fandango) segna il ritorno, dopo alcuni anni di silenzio, di Gipi (nome d’arte di Gianni Pacinotti) al mondo del fumetto: ritorno attesissimo, che il produttore Domenico Procacci vorrebbe coronato dalla candidatura alla prossima edizione del Premio Strega.
L’artista, che ha recentemente esordito dietro la macchina da presa con i lungometraggi L’ultimo terrestre (2011) e Smettere di fumare fumando (2012), firma un racconto coinvolgente e intenso, che si dipana attraverso un doppio piano temporale. Nel presente, Silvano Landi, scrittore di successo abbandonato dalla moglie, ripercorre la propria esistenza alla ricerca di un senso fra le mura dell’ospedale psichiatrico in cui è ricoverato. E nel passato, più precisamente la Prima guerra mondiale, durante la quale il bisnonno di Silvano, Mauro, si scopre animato da un’inesausta determinazione a vivere e a ricongiungersi con la propria famiglia. Ne parliamo con l’autore.
Questo suo ultimo lavoro, Una storia, presenta la struttura tipica di un componimento musicale: la riproposizione di alcune sequenze rimanda al ritorno del tema dominante in una sinfonia…
“È sicuramente così. Riservo grande attenzione verso l’aspetto musicale del fumetto. Percepisco della musica quando scrivo e disegno, la sento generata dal ritmo. I ritorni, i loop, le ellissi sono tutti elementi che utilizzo per produrre quella gamma di sentimenti utili alla storia. Penso che se fossi un musicista lavorerei con lo stesso atteggiamento”.
Qual è il confine fra autobiografia e invenzione nelle sue opere?
“Nonostante io usi molta autobiografia nei miei lavori c’è sempre un piano, magari poco evidente, di distanza. Mi ispiro alla realtà perché credo che nella realtà succedano cose migliori di quelle che riesco a inventare da solo nella mia stanza, ma raccontandola la modifico. La realtà, presa e messa su carta così come com’è, non ha la stessa potenza evocativa, è un’altra cosa”.
In Una storia ricorre anche la tematica della guerra, che lei ha frequentato diverse volte…
“Io credo che provenga dal fatto che mio padre mi raccontava spesso storie di guerra: riguardavano la sua gioventù, il suo confrontarsi con la vita e con la morte. È un tema che riaffiora spesso, magari ammantato di quella poesia che nella realtà manca”.
In questo tuo ultimo graphic novel sono presenti alcune figure inibitrici, come editor, psicologhi, ecc…
“Questi personaggi sono espressione di alcune mie voci interiori. Le frasi che dicono gli psicologhi appartengono in realtà a quella parte di me che vuole buttarmi giù, che vuole testarmi per vedere se la mia convinzione è sufficiente. È sempre stato così. Anche ne La mia vita disegnata male tutte le voci, anche quelle più antipatiche, erano sempre la mia. Sono voci che esprimono un conflitto”.
Ha detto di essersi esercitato molto nel disegno dal vero. Fino a che punto si spinge, quando racconta una storia, con la rielaborazione del soggetto?
“Quanto mi serve per il racconto. Quando racconto una storia, piego tutta quell’esperienza e quella conoscenza acquisita attraverso il disegno dal vero ai fini della narrazione, per cui non devo rispettare ulteriori regole. Se in quel momento il cielo dev’essere rosso sarà rosso, non mi pongo altre questioni”.
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