Il Giubileo di Francesco inizia dall’Africa. Con una settimana di anticipo rispetto alla data ufficiale, 8 dicembre festa dell’Immacolata Concezione, il Papa ha inaugurato l’Anno Santo straordinario aprendo la porta della cattedrale di quella che ha ribattezzato ‘Capitale spirituale del mondo’, nel cuore della repubblica centrafricana.
29 novembre 2015, ore 17,13: Francesco posa i palmi delle mani sulla porta santa della cattedrale, a Bangui, e apre i battenti. Poco prima, parlando alla folla rimasta all’esterno, aveva spiegato il senso della sua scelta di venire qui, in zona di guerra: «Questa terra soffre da diversi anni la guerra, l’odio, l’incomprensione, la mancanza di pace. In questa terra sofferente ci sono anche tutti i paesi del mondo che sono passati per la croce della guerra. Bangui diviene la capitale spirituale per la preghiera della misericordia del Padre. Tutti noi chiediamo pace, misericordia, riconciliazione, perdono, amore. Per Bangui, per tutta la Repubblica Centroafricana e per tutto il mondo, per i paesi che soffrono la guerra, chiediamo la pace». Poi ha alzato lo sguardo, invitando i fedeli a ripetere le sue parole: «Tutti insieme chiediamo amore e pace, tutti insieme: “Ndoye Siriri”. Con questa preghiera cominciamo l’Anno Santo in questa capitale spirituale del mondo oggi»
Nella cattedrale si sono radunati circa 2.500 sacerdoti. All’esterno, fa sapere una nota del Vaticano, altre migliaia di giovani seguono la messa sui maxischermi.
La cattedrale è dedicata a Nostra Signora dell’Immacolata Concezione e risale al 1937. La sua costruzione è stata resa possibile grazie alla partecipazione fisica dei missionari e catecumeni che trasportarono i mattoni sulla testa quando il camion era in panne.
Oggi Papa Francesco celebra a Bangui, nello stadio Barthelemy Boganda di Bangui, la Messa conclusiva della sua terza tappa africana, dopo Kenia e Uganda, e del suo viaggio in Africa. Prima però, non ha potuto fare a meno di fare una visita alla moschea principale di Koundoukou, a circa quattro chilometri da Bangui. Bergoglio ha invitato cristiani e musulmani di questo Paese a restare uniti contro ogni violenza “che da una parte o dall’altra sfigura il volto di Dio”. “Insieme diciamo no a odio, violenza, vendetta, in particolare quella in nome di una fede o di un Dio”. Da Francesco un invito perché dal paese dove ieri ha aperto la Porta santa del Giubileo venga la spinta a spegnere i focolai di tensione in tutta l’Africa. Bergoglio, incontrando la Comunità, ha reso riconoscenza al ruolo svolto dai musulmani in Centrafrica per la riconciliazione e contro l’odio interetnico. E al ruolo svolto in questo senso da tutte le religioni e confessioni presenti nel Paese. Un omaggio analogo aveva tributato ieri nella visita alla Facoltà teologica evangelica (Fateb), ma oggi le parole agli islamici suonano ancora più significative, data la connotazione sedicente islamica dei seleka e sedicente cristiana degli antibalaka che ha fatto piombare il Centrafica nella violenza e lo ha portato sull’orlo del genocidio. L’omaggio del Papa è ai leader religiosi e alla Piattaforma per la riconciliazione del Centrafrica guidata dall’imam Oumar Kobine Layama, dal presidente degli evangelici, pastore Nicolas Guerekoyame Gbangou e dall’arcivescovo cattolico Dieudonne Nzapalainga.ha lasciato oggi anche un messaggio di pace alla comunità musulmana di Bangui, incontrata nella moschea della capitale centrafricana, penultimo atto della sua visita nel Paese.
Dal 2013 la Repubblica Centrafricana (Rca), uno stato senza sbocchi sul mare con una popolazione di 4,6 milioni di abitanti, è sconvolta dal conflitto più sanguinoso della sua storia. Più di 5mila persone sono morte e più di 1 milione sono invece quelle rifugiate oltre confine o sfollate all’interno del paese. I cattolici sono circa 1,7 milioni: il 37% della popolazione. Centodiciannove è il numero ufficiale delle parrocchie edificate in tutto il Paese, 350 i sacendoti. Circa 300 le scuole legate a istituti religiosi e poco meno di 60 mila gli studenti che le frequentano. Gli ospedali sono 13. A questi vanno aggiunti 39 ambulatori e 10 lebbrosari.
Secondo gli indici di sviluppo umano dell’Onu, più della metà dei centrafricani vive al di sotto della soglia di povertà (1,25 dollari al giorno) e la speranza di vita è tra le più deboli in Africa subsahariana (48,4 contro una media di 51 anni). Il 20% della popolazione è sfollato o rifugiato nei paesi vicini. Stando ai dati di Medici senza frontiere, la situazione medico-umanitaria è quella di un’emergenza cronica e prolungata: 1,5 milioni di persone soffrono la fame, il tasso di prevalenza dell’HIV è il più elevato dell’Africa centrale, i bambini muoiono di malaria, il 72% delle strutture sanitarie pubbliche è danneggiato o distrutto.
Eppure il Paese è ricco di oro, uranio e petrolio, mentre diamanti e legname sono le principali esportazioni (più del 70%). Ma questo potenziale è poco o per nulla sfruttato industrialmente. Rca è il classico esempio di stato africano dove la ricchezza di risorse naturali incentiva l’avidità dei governi e l’espansione dei traffici illeciti e non lo sviluppo.
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