Google sorpassa Apple. La holding Alphabet, che controlla il colosso di Mountain View, è da ieri la società più quotata al mondo: la sua capitalizzazione di mercato vale 533,20 miliardi di dollari contro i 532,72 miliardi della creatura orfana di Steve Jobs.
Al terzo posto della classifica rimane stabile Microsoft, mentre al quarto sale Facebook, che ha scavalcato Exxon e Berkshire Hathaway (il fondo d’investimento di Warren Buffett). Il balzo in avanti del social network più grande del mondo sancisce il ritorno della tecnologia dell’informazione ai vertici della finanza mondiale, con l’industria tradizionale e il petrolio a recitare la parte delle nobili decadute. C’entra senza dubbio il crollo del prezzo del greggio, sceso sotto 30 $ al barile.
A conferma della difficoltà dell’oro nero è arrivata anche una stangata di Standard&Poor’s ai danni di Shell, il sesto gruppo petrolifero europeo a finire nella lista degli “osservati speciali” a rischio di tagli al rating. Dell’elenco fa parte anche la nostra ENI.
L’ascesa di Google e Facebook si spiega con la posizione dominante sul mercato mondiale della pubblicità digitale sui dispositivi mobili: Google ha la quota più ampia dei ricavi – il 33% del totale – ma la fetta di Facebook, ora al 17%, è quella che fa segnare l’espansione più rapida. Secondo gli analisti, sul lungo periodo questa accelerazione potrebbe arrivare a impensierire Mountain View. Ma dai dati relativi all’ultimo trimestre del 2015 si evince che il colosso dei motori di ricerca è cresciuto molto più di quanto non si aspettassero gli analisti. L’utile per azione è arrivato a 8,67 dollari, contro un valore stimato intorno agli 8,10, e i ricavi si sono attestati su 21,32 miliardi, oltre mezzo miliardo più del previsto. La pubblicazione dei dati ha spinto il titolo a guadagnare l’8,63% solo nelle contrattazioni di lunedì.
L’unico gigante del NASDAQ in controtendenza è Yahoo!, che non si è ancora risollevata da una crisi che dura da anni. Il fondo Starboard Value, azionista del gruppo di Sunnyvale, ha chiesto la testa dell’AD Marissa Meyer e la vendita delle attività internet. Per ora Meyer sembra resistere, ma entro qualche giorno dovrebbe annunciare un nuovo piano di tagli: si prevede la chiusura di alcune divisioni e il sacrificio del 15% della forza lavoro. Così ridimensionata, Yahoo sarebbe più agile nel governare i cambiamenti e più facile da vendere in blocco. Ma mentre si rincorrono le voci che danno grandi gruppi della Silicon Valley interessati a farsi carico dell’azienda, il consiglio d’amministrazione non ha ancora intavolato trattative serie.
All’orizzonte, poi, si profila un’altra bufera. Gregory Anderson, un editor della sezione notizie licenziato a novembre 2014, ha presentato ricorso contro pratiche che ritiene discriminatorie e contrarie alle leggi vigenti a livello federale, negli USA, e nello stato della California. Nel mirino dei legali ci sono soprattutto le classifiche dei dipendenti, che la dirigenza usa per stabilire chi dovrà licenziare. Secondo il ricorso, presentato presso un tribunale federale di San José, quelle graduatorie sarebbero manipolate ad arte per licenziare senza giusta causa i dipendenti sgraditi alle alte sfere.
F.M.R.
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