«Desidero assicurarLe che sarò lieto di riceverLa prossimamente, in una data che i nostri uffici potranno concordare. Nel frattempo, Le invio i miei saluti più cordiali». È la risposta del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il 16 febbraio, a Beppe Grillo, che solo pochi giorni prima, il 3 febbraio, aveva indirizzato una lettera aperta di auguri al nuovo Capo dello Stato per il settennato, chiedendo un incontro per illustrare «la posizione del M5S sui temi più importanti per il Paese, in particolare sull’introduzione del reddito di cittadinanza».
Il Presidente ha ringraziato il leader del Movimento Cinque Stelle per «le cortesi espressioni di augurio» che ha voluto inviare per la sua nomina. «La ringrazio Presidente. Ci vediamo in Quirinale», scrive entusiasta Grillo sul suo blog.
Si apre, così, una nuova era della politica italiana, e dell’anti-politica, che si fa politica nel passaggio dalla fase destruens, critica e oppositiva, di contenimento e di differenziazione rispetto alle degenerazioni opportunistiche ed elitarie dei partiti tradizionali, alla fase costruens, di partecipazione attiva dei “cittadini” ai processi democratici anche istituzionali, senza pregiudizi né pregiudiziali.
Le questioni sul tavolo dell’incontro, prossimo, al Quirinale sono elencate negli “auguri” di Grillo al Presidente Mattarella: «Tutela della Costituzione e rigetto di norme anti-costituzionali, promozione di leggi in difesa delle fasce deboli della società, illegittimità della nuova legge elettorale, lotta alla corruzione e alla criminalità, centralità del Parlamento, informazione pubblica». L’agenda di questa nuova fase della dialettica politica italiana apre, dunque, interrogativi sull’esito della riforma costituzionale, che presenta caratteri rivoluzionari, di novità radicali nella rappresentanza e negli equilibri delle componenti sociali e dei poteri, e tanto energicamente voluta – o forse, imposta – dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, con o senza la partecipazione, più o meno formale, delle opposizioni e delle minoranze.
Per affrontare i temi all’ordine del giorno della politica in un rappacificato clima di dialogo e di collaborazione, il Presidente Mattarella ha incontrato, il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta, al quale ha espresso l’auspicio che «riprenda il dialogo sulle riforme, tra governo e opposizioni». «Non si può governare con colpi di mano e con accelerazioni che imbavagliano il Parlamento, sottoposto a una permanente forma di umiliazione della funzione legislativa», ha dichiarato il presidente di Sel, Nichi Vendola, all’uscita del suo incontro al Colle.
Sono fresche le ferite – e non solo metaforiche – del voto degli emendamenti alle modifiche costituzionali, sabato 14 febbraio, fino alle 3 del mattino, in assenza delle opposizioni e con la minaccia di dimissioni dei deputati Cinque Stelle, mentre la crisi internazionale, con le minacce dell’Isis all’Italia, il degenerarsi della situazione in Libia e la chiusura dell’ambasciata a Tripoli, con il rientro dei nostri connazionali, prendono – o dovrebbero prendere – il giusto sopravvento nell’ordine di priorità che il Parlamento si trova ad affrontare. Grillo rivolge un fiducioso appello al Capo dello Stato per una soluzione che rispetti la Costituzione, così com’è: «Aspettiamo un monito dal Presidente, anche piccolo piccolo, al bulletto di Rignano. Non spetta oggi al governo decidere se entrare in guerra, ma ancora, secondo la Costituzione, al presidente della Repubblica». E aggiunge: «Certo non è un caso la modifica avanzata dalla maggioranza di governo dell’art. 78 della Costituzione che, nel quadro della futura trasformazione del Senato in camera non elettiva, conferirà alla sola Camera dei deputati il potere di deliberare lo stato di guerra. Quindi al partito di maggioranza, quindi a Renzie, il novello Brancaleone della guerra agli infedeli».
Nella Costituzione, così com’è, all’art. 11 si legge: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
Nelle difficili partite per la pace, della politica nazionale e della sicurezza internazionale, la parola decisiva spetta all’arbitro, il Capo dello Stato, che, nel suo discorso di insediamento, il 3 febbraio, aveva promesso: «L’arbitro deve essere, e sarà, imparziale». E aveva aggiunto: «I giocatori, però, lo aiutino con la loro correttezza».
Emanuela Bambara
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