Beppe Grillo e Matteo Salvini protagonisti in Europa
Dopo aver incassato una scoppola epocale alle europee e aver trangugiato avidamente note pastiglie per la conseguente gastrite, Beppe Grillo decide di prendere un bel digestivo: niente di meglio di un bel volo per Bruxelles dove si è consumato il primo incontro informale con Nigel Farage, leader dell’Ukip che, in funzione antieuro, ha, invece, fatto il pieno di voti in GB.
Sullo stesso aereo (il mondo è piccolo…) c’era anche Matteo Salvini. Cordiale chiacchierata tra il segretario del Carroccio e l’ex comico e medesima destinazione ma accoglienze diverse una volta a destinazione: a ricevere la delegazione leghista Marine Le Pen e lo stato maggiore del Front National che domenica ha espugnato la Bastiglia.
Le diplomazie euroscettiche sono già al lavoro. Ppe e Pse sono avvertiti: che dovessero “inciuciare” si sapeva, ma ora dovranno scegliere un candidato alla presidenza della Commissione che sia veramente autorevole e il più possibile unificante. Dall’altra parte si fa sul serio.
“Se funziona, sarebbe magnifico vedere ingrossare le file dei cittadini al nostro fianco. Se riusciamo a trovare un accordo, potremmo divertirci a causare un sacco di guai a Bruxelles“, così Nigel Farage, il leader dell’Ukip ha salutato il collega pentastellato che, di rimando, ha rilanciato: “Siamo ribelli con una causa, e combatteremo con il sorriso“.
L’obiettivo comune resta quello di “incutere timore ai burocrati di Bruxelles“ e, del resto, i due leader si professano “convinti dell’importanza della democrazia diretta in Europa per raggiungere il cambiamento“. Il tutto, però, dovrà avvenire senza pregiudicare l’autonomia dei rispettivi movimenti.
Una fonte dell’Ukip ha confermato che “Nigel Farage e Beppe Grillo hanno discusso a pranzo di una potenziale alleanza. I rapporti sono buoni, ma nulla per ora è deciso. Non è stato firmato nulla, ma i negoziati sono cominciati“. Entrambi vogliono un referendum, un pò diverso l’oggetto: il M5S vuol proporre l’uscita dell’Italia dall’euro, mentre l’Ukip si pone il traguardo ben più ambizioso (e complesso) di rimettere alla volontà popolare la scelta se la Gran Bretagna debba rimanere o meno in Europa. Una posizione, quella di Farage, decisamente più radicale dei nostri Cinquestelle.
Ma la vera notizia è che Grillo, dopo aver rifiutato ogni possibile accordo in patria, pare seriamente intenzionato a rompere lo “splendido isolamento” del M5S in Europa con l’obiettivo, neanche troppo velato, di ottenere due presidenze di commissione o almeno una presidenza e una vicepresidenza.
Più che un accordo, anche se solo di massima (i due si ritroveranno tra qualche settimana, ndr), è stato un modo per conoscersi, annusarsi e, forse, piacersi.
Si tratta, in ogni caso, di un’iniziativa che sta provocando un forte dibattito interno al MoVimento. Non tutti i deputati Cinquestelle, infatti, sono favorevoli all’alleanza con l’Ukip . Il capogruppo alla Camera, Giuseppe Brescia, notoriamente un “ortodosso”, sottolinea la diversità tra i due movimenti: quello britannico, ricorda, è fondamentalmente xenofobo, mentre i Cinquestelle sono quelli che hanno portato all’abolizione del reato di immigrazione clandestina.
“A me non piace e non credo proprio di essere l’unico“, tuona Tommaso Currò, uno dei dissidenti storici.
Piuttosto nutrita è, però, anche la schiera di parlamentari che non vedono alternative all’accordo. Tra questi, ad esempio, il deputato Walter Rizzetto in linea con Tancredi Turco, che afferma senza mezzi termini: “Non vedo altre alternative per fare un gruppo e per evitare di condannarci a non contare nulla“.
Ora la palla passa agli attivisti del MoVimento: sarà, infatti, la rete ad emettere la parola definitiva sull’ipotesi di alleanza M5S-Ukip.
L’altro versante euroscettico ha visto, invece, riuniti a pranzo come commensali Marine Le Pen, Matteo Salvini (e rispettive delegazioni di eletti sia della Lega che del FN), i quattro eurodeputati olandesi del Pvv di Geert Wilders, quattro eurodeputati austriaci del Fpoe e il rappresentante del partito belga fiammingo Vlaams Belang.
Una bella tavolata, non c’è che dire. Ma manca ancora qualcosa. O meglio, qualcuno. Almeno due deputati di altri due paesi necessari per formare un gruppo europarlamentare (che necessita di 25 deputati provenienti da almeno sette paesi). “Per il momento siamo in cinque – ha detto la leader del FN – ma sono ottimista e penso che riusciremo a formare un gruppo al Parlamento europeo trovando altri due alleati di due diversi paesi entro le prossime tre settimane“. Matteo Salvini ha voluto esprimere tutta la propria soddisfazione “di essere a questo tavolo della speranza“, con l’obiettivo di creare un nuovo gruppo al Parlamento europeo, che sarà “contro tutto ciò che è unico: il mercato, la moneta, il cibo“. Inoltre, il leader leghista ha ribadito che la scelta di far parte di un’alleanza di partiti euroscettici (anche se di impronta nazionalista, mentre la Lega Nord è attestata su posizioni indipendentiste, ndr) ha una ragione ben precisa: “Mi riconosco nella libera scelta dei popoli – ha ribadito – se i veneti vorranno fare un referendum per l’indipendenza, avranno il mio sostegno, se gli ucraini lo fanno, anche“.
A questa tavolata di sicuro non prenderanno mai parte gli eurodeputati del M5S che già da ora fanno sapere di escludere categoricamente ogni possibile convergenza con Marine Le Pen.
Qual’è la risposta dei partiti eurofili?
Ppe e Pse dovranno necessariamente fare fronte comune. Lo dice la logica, Lo ribadiscono i numeri. I popolari hanno vinto e, quindi, sarebbe il lussemburghese Juncker il nome designato quale presidente della Commissione. Occorre, però, l’appoggio dei voti dei socialisti del tedesco Martin Schulz. L’incognita è data dalla possibilità che escano dall’eurogruppo i laburisti britannici.
Come si pongono, infine, i partiti italiani?
Il Pd, forte del torrenziale consenso ottenuto da Renzi domenica, ha acquisito una notevole forza contrattuale e potrebbe farla pesare in seno al Pse. Renzi potrebbe anche ottenere un ruolo di capogruppo a favore di uno dei suoi: si fa insistentemente il nome di Gianni Pittella. Ma anche Simona Bonafè (la “miss preferenze”) potrebbe avere una chance. Tagliati fuori appaiono, invece, Sergio Cofferati e David Sassoli. E, non potendo l’Italia proporre un proprio nome alla poltrona di presidente della Commissione in quanto vanta già Mario Draghi alla guida della Bce, il nostro paese potrebbe, però, avanzare legittime pretese sul nome di più di un commissario di peso: potrebbe essere l’Alto rappresentante per gli Affari esteri per il quale avrebbero le carte in regola Enrico Letta e Massimo D’Alema, come potrebbe essere il commissario per l’Agricoltura dove potrebbe accasarsi Paolo De Castro o anche il commissario per gli Affari economici e monetari per cui potrebbe venir proposto il nome di Lorenzo Bini Smaghi (in febbraio indicato da molti nel “totoministri”).
Sul nome di Juncker alla poltrona di Barroso, registrate le perplessità di David Cameron (per il quale sarebbe prioritario concentrarsi sul tema delle riforme e solo dopo sul “totonomine”), sembra avere le idee piuttosto chiare il leader dell’Ncd, Angelino Alfano, che afferma sicuro che: “Juncker sarà certamente disponibile a ripensare il vincolo del 3% sul deficit“.
Molto interessante sarà la posizione che deciderà di assumere Forza Italia. Il partito di Berlusconi, che ha già annunciato che sottoscriverà almeno due dei referendum proposti dalla Lega Nord, si troverà di fronte ad un bivio: o stringere ulteriormente il rapporto con Matteo Salvini andando ad infoltire lo schieramento euroscettico oppure rivedere le posizioni recentemente espresse in campagna elettorale per assumere un atteggiamento più eurofilo, in linea con la tradizione del Ppe. E sulla decisione di FI non c’è dubbio: sarà la parola dell’ex Cav a sciogliere il nodo.
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