Home restaurant, ovvero fare della propria casa un ristorante per ospiti paganti. Un’iniziativa che conviene ai clienti che pagano di meno e anche all’ospite, se sa sfruttare bene il potenziale promozionale della rete e dei social.
Secondo Confesercenti il fatturato degli home restaurant si aggira intorno ai 7,2 milioni di euro solo nel 2014, con un incasso medio, per singola serata, pari a 194 euro. Cifre che hanno suscitato non poche polemiche da parte delle associazione dei commercianti che accusano la ristorazione privata di far loro concorrenza sleale.
In effetti, fino ad oggi, regole vere e proprie per il Social Eating non ce ne sono: i molti che lo praticano, sia clienti che cuochi, si affidano a varie piattaforme online come Gnammo per vendere i propri pacchetti e farsi conoscere. Coloro che usufruiscono del servizio sono obbligati ad aderire ad “Codice etico partecipato” ma nulla di più. Le preoccupazioni maggiori riguardano il rischio di fatturato in nero e il non rispetto delle norme igieniche che invece si pretende nei ristoranti veri e propri.
Ed infatti la nuova legge in arrivo a Montecitorio, già approvata in Commissione Attività Produttive, fissa alcuni paletti, soprattutto di natura fiscale: tra massimo 500 pasti all’anno e 5mila euro di incasso ad abitazione, a prescindere da quanti cuochi abbiano effettivamente cucinato. Chi ha intenzione di darsi al Social Eating dovrà poi presentare la “Scia” cioè dichiarazione di inizio attività commerciale, pena il pagamento di una multa.
“Nel ddl – spiega il relatore Angelo Senaldi, deputato Pd – stabiliamo innanzitutto delle garanzie per gli utenti. Perciò tutte le attività di social eating devono passare obbligatoriamente attraverso le piattaforme digitali, che devono verificare i requisiti minimi di abitabilità delle case e una minima conoscenza da parte dei cuochi delle modalità di trattamento dei cibi. E possibilmente prevedere una copertura assicurativa per gli utenti”.
Sarà quindi compito dei portali “vigilare” sulla qualità del cibo servito agli utenti.
I ristoratori stiano pure tranquilli – ha risposto Cristiano Rigon, fondatore e amministratore delegato di Gnammo – siamo assolutamente favorevoli a garantire più sicurezza agli utenti e ci stiamo attrezzando per fornire la formazione ai cuochi sul protocollo Haccp. Secondo noi è stato fatto un buon lavoro per assicurare la totale trasparenza nei confronti dei consumatori e garantire un microreddito a chi non ce la fa. Così il Paese cresce”.
“Non vogliamo appesantire di burocrazia queste attività di condivisione – continua il deputato – seguendo le indicazioni del ministro delle Attività Produttive Carlo Calenda. Ma bisogna evitare che diventino un secondo lavoro, magari in nero. Per questo nel testo di legge c’è un articolo che vieta ai Bed & Breakfast di praticare attività di home restaurant. Insomma sì a una legislazione leggera, tutelando però al tempo stesso i consumatori dagli abusi”.
P.M.
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