“Non va bene una maglia viola; è maschio!”, “Compriamogli un giocattolo da femmina! Cosa deve fare con questa macchinina”, “Tu sei un maschietto! Non ti piace proprio giocare a calcio?”, “Se gli comprate le bambole rischiate di far diventare vostro figlio gay!”.
Sono espressioni – scrive Mariano Gianola, sociologo, nel suo nuovo lavoro/ricerca sull’identità di genere – che almeno una volta nella vita abbiamo tutti sentito e in molti condiviso, parole che rappresentano ancora oggi “l’espressione di un sistema di idee che sancisce e rinnova una certa normalità” .
“Giovanotti Femmenelle e Signurine Masculone. A ognuno la libertà di esprimere la propria identità” fotografa uno ‘spaccato’ della Napoli periferica: maschietti discriminati già a 8 anni perché non si omologano ai giochi di genere come il calcio, e bambine ‘mascoline’ elette a ruoli di comando ed esaltate dai compagni di giochi. E’ quanto accade a Secondigliano, e dettagliatamente annotato nella ricerca di Gianola che esplora la condizione dei bambini gender nonconforming , bambini dagli 8 ai 12 anni che nel relazionarsi si discostano dalle norme sociali che definiscono e prescrivono i canoni di mascolinità o femminilità. La voce di questi bambini, i loro corpi alla ricerca di un’identità non conforme, il loro disagio di sentirsi diversi e “sbagliati”, traspare da queste pagine al punto che l’autore si chiede in un passaggio del libro, se l’approccio al loro vissuto non sia troppo soggettivo e quindi poco scientifico, in qualche modo inquinato da un sentimento di partecipazione e condivisione della loro sofferenza. Domanda retorica alla quale Mariano Gianola fornisce una risposta più che convincente e tuttavia in quel dubbio si annida forse il valore intrinseco e segreto di questo libro, la densità di sentimenti che suscita nelle testimonianze di Michele, Federico, Roberto, Filippo. Bambini di otto/nove anni che già conoscono la violenza dell’esclusione e della discriminazione, che non hanno strumenti per difendersi dal pregiudizio, che la loro diversità suscita, e che per sopravvivere cercano di occultarla imponendosi comportamenti e giochi contrari alla loro natura al puro scopo di essere come gli altri.
“Su 60 bambini osservati – ha spiegato Paolo Valerio, professore di psicologia clinica e direttore del Centro Sinapsi – 5 erano chiamati dagli altri bimbi “femmenella” e due “masculillo”. I bambini chiamati femminella soffrivano per il termine considerato dispregiativo e vivevano un disagio profondo. Molto meno, invece, accadeva alle “masculillo” che rispetto a quel tipo di cultura rappresentavano un valore”. Le bambine “gender nonconforming”, infatti, non vengono discriminate, ma anzi vivono una condizione di inclusione sociale privilegiata tra i propri pari: se giocano a calcio vengono nominate “capitane” delle loro squadre, mentre i “femminelli” vivono una profonda condizione di esclusione. Tra le evidenze emerse c’è “che il vero tabù della nostra società è la femminilizzazione del maschio, perché la non conformità ai ruoli di genere può essere molto più pesante per i maschi che per le femmine”. Nella ricerca, durata circa un anno, i bambini discriminati percependosi come errati a causa delle discriminazioni subite dai compagni, per favorire la propria inclusione sociale all’interno del “gruppo dei pari”, hanno attivato una serie di escamotage come l’adeguamento ai comportamenti socialmente richiesti, ad esempio giocando a calcio, non giocando più con le bambole o con i puzzle delle principesse. “Tali escamotage – si conclude la ricerca – non portano ad alcun tipo di inclusione rinnovando, invece, le discriminazioni subite. Inoltre, il ‘mettere in scena’ comportamenti tipicamente maschili, snaturando il proprio modo di essere, non può essere mantenuto per lungo tempo”.
“La somiglianza, annotava Foucault, è la categoria fondante la nostra tradizione, perché il simile consente il riconoscimento ed è misura della relazione all’altro/a. Tutto ciò che è dissimile è un’alterità non conforme alle regole sociali e come tale rompe il codice d’identifcazione, che nel nostro caso è costituito dal binarismo di genere maschio/femmina”. E’ scritto nella prefazione al libro di Gianola firmata da Simonetta Marino, insegnante di Filosofia Morale all’Università “Federico II” di Napoli. “Per quanti anni siano passati dalla decostruzione di questo paradigma, denunciato dal femminismo sulla scorta dei filosofi poststrutturalisti – annota ancora la Marino -, permane radicato nella nostra cultura e non solo come appannaggio di ceti sociali più disagiati. Questo libro ci interroga ancora una volta su questa dimensione simbolica e significante che genera comportamenti violenti e discriminatori e che impedisce a ciascuno/a di liberare il proprio desiderio di vivere amandosi così come si è”.
Una necessità, oggi ancora più forte, soprattutto se si considerano i numerosissimi episodi di bullismo che hanno per vittime bambini in età non ancora adolescenziale, costretti a pagare un prezzo troppo alto per loro. A meno che, proprio per non subire l’umiliazione e il dolore di ‘punizioni’ per colpe non commesse – se non quella di essere sé stessi e di essere, per questo, colpevolizzati -, non si convincano a negare o nascondere la propria identità accettando di assumere comportamenti graditi dai compagni. In altre parole, a sotterrare la propria libertà di espressione nel più recondito nascondiglio.
A.B.
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