Lo scrittore Gianrico Carofiglio presenta il suo nuovo romanzo: “La violenza fa parte dei comportamenti umani, la descrivo in parallelo con altre passioni”.
La solita routine, la colazione al bar e un’occhiata distratta ad un quotidiano: poi, all’improvviso, tutto cambia. Il nome che riaffiora tra le colonne del giornale fa sprofondare Enrico Vallesi in un passato con cui non ha ancora del tutto fatto i conti. Rapida matura la decisione di salire sul primo treno verso la città che lo ha visto crescere. Un viaggio che lo conduce alla riscoperta della propria adolescenza tormentata, segnata dall’amore per Celeste, giovane supplente di filosofia, e la frequentazione di Salvatore, compagno di classe turbolento e navigato.
«Il bordo vertiginoso delle cose» può ben definirsi un romanzo di formazione che indaga la fragilità e la pienezza di un tempo incerto, dischiuso ad ogni possibilità, le cui tracce permangono in un presente inquieto che riconosce in esso la sua scaturigine ed il suo significato più profondo. Ne parliamo con l’autore, lo scrittore Gianrico Carofiglio.
La tipologia narrativa del romanzo di formazione, cui sembra aderire il suo ultimo lavoro, rappresenta un tentativo del protagonista di rifugiarsi nel passato o piuttosto una possibile ricostruzione del proprio presente attraverso una nuova consapevolezza di sé?
«Non è un rifugiarsi nel passato ma un modo per ricostruire il presente. È un esplorare il passato che, per citare il titolo di un mio precedente romanzo, è una terra straniera, per cercare di cogliere in esso un senso all’esistenza e ad un presente a volte incomprensibile».
In questo suo ultimo romanzo è molto presente il tema della violenza…
«La violenza può significare molte cose. In questo libro non c’è un giudizio sul tema della violenza quanto la constatazione narrativa del fatto che l’attitudine alla violenza, la disponibilità a metterla in atto e anche la sua ripulsa siano componenti inevitabili di molti comportamenti umani: per questo ho voluto raccontarla mettendola in parallelo ad altre passioni, come la passione per le idee, per la ragione, per le parole. Nel romanzo si racconta una duplice iniziazione: alla violenza da una parte e alle idee, alla ragione, alla bellezza delle parole dall’altra».
Quanto è importante l’incipit di un romanzo?
«L’incipit è importantissimo: un incipit fiacco, noioso, arrogante difficilmente potrebbe attirare potenziali lettori. L’incipit, a parte la sua rilevanza strettamente letteraria, ha molto a che fare con il rispetto verso il lettore e con un’idea della scrittura intesa come comunicazione e non come mero esercizio auto-referenziale».
Alcuni capitoli del libro sono affidati alla narrazione in prima persona, mentre in altri si assiste ad una modalità narrativa costruita sulla seconda persona. Come mai questa scelta?
«Non si tratta di un’operazione razionale. In questo caso la scelta del ‘tu’ per la storia al presente, a differenza di quella del passato esemplata sulla prima persona, è scaturita quasi spontaneamente dall’esigenza di raccontare in modo più penetrante la vicenda del protagonista. La seconda persona si rivela uno strumento d’introspezione più efficace dell’io narrante, consente di scavare più a fondo nell’intimità del personaggio».
Lei ritorna spesso alla ‘sua’ Bari: quanto è distante la città reale da quella vissuta e immaginata?
«Mi piace raccontare luoghi che esistono realmente e introdurre in essi qualche scarto surreale che li renda fortemente romanzeschi. Mi viene quindi da dire che la Bari raccontata nei romanzi è la città reale e contemporaneamente anche un territorio legato alla fantasia».
Che ruolo gioca il contesto all’interno delle sue storie?
«Il contesto è fondamentale in quanto spesso le ambientazioni sono metafore dei personaggi, e quindi vanno costruite non solo come dei fondali di scena ma come se possedessero una propria vita autonoma».
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