Il Pd e la riscrittura creativa che non salverà Marino

Che Ignazio Marino da Genova, sua città d’origine, non brillasse come sindaco i romani lo hanno capito praticamente da subito. La fase iniziale di ogni mandato, la ‘luna di miele’, è durata davvero poco, complice la disaffezione degli elettori – lo ha votato praticamente un romano su quattro – l’attesa di soluzioni concrete, la voglia di svolta dopo il quinquennio Alemanno, tra neve, emergenze, far west e ‘chiamo esercito’.

Il chirurgo prestato alla politica, che a suon di ‘daje’ si è presentato come segnale di discontinuità, è stato votato da poco più di 664 mila romani – su 2.359.119 aventi diritto: al ballottaggio partecipò complessivamente il 45% dei cittadini – moltissimi dei quali oggi non lo sceglierebbero di nuovo.

Sì, perché se Marino ha avuto un merito è stato quello di mettere tutti d’accordo sul fatto di essere scontenti del suo operato.

Il caso Mondo di Mezzo, che ha investito in pieno Roma, è solo la punta dell’iceberg e se è vero che Marino con la ‘melma’, come lui stesso l’ha definita, c’entra poco o nulla è altrettanto vero che la difesa che da mesi sta portando avanti è debole, ma soprattutto poco rispettosa dell’intelligenza dei cittadini. Viene da pensare che si, forse gli spin doctor del Pd devono aver preso sotto gamba la capacità di discernimento dei romani. Non può essere altrimenti, viste le fandonie che a rotazione arrivano dal Campidoglio piuttosto che da largo del Nazareno.

Andando con ordine infatti, dopo la seconda ondata di arresti che hanno scosso la politica romana, tutta, è stato fin troppo facile assistere a dichiarazioni che definire capziose è quasi un complimento.

4 giugno, ore 9 circa. Da un paio di ore la città è consapevole degli arresti che i Ros stanno eseguendo. Ignazio Marino, a commento degli sviluppi dichiara alle agenzie “credo che la politica nel passato abbia dato un cattivo esempio ma oggi sia in Campidoglio ed in alcune aree come Ostia abbiamo persone perbene che vogliono ridare la qualità di vita e tutti i diritti e la dignità che la Capitale merita”. Molto bello, e molto condivisibile. Tuttavia è lampante che se non ci fosse stato il procuratore della Repubbica Giuseppe Pignatone, i Ros, l’inchiesta Mondo di Mezzo, Ignazio avrebbe proseguito tranquillamente con una maggioranza, la sua, nella quale erano presenti Mirko Coratti, presidente dell’assemblea capitolina e arrestato nell’ambito dell’inchiesta; Massimo Caprari, capogruppo di Centro Democratico, Pierpaolo Pedetti, presidente della commissione capitolina Patrimonio ed esponente Pd. Per non parlare dell’assessore Daniele Ozzimo, anche lui arrestato e ora ai domiciliari, che fa tornare alla mente i virgolettati trionfanti del genovese di ferro che ha presentato la sua giunta come composta da “persone competenti, ognuna scelta con molta attenzione” e soprattutto capace di segnare “discontinuità con il passato”. Giunta della quale Ozzimo era esponente. Marino però deve averlo dimenticato. Sempre per dovere di cronaca va ricordato il già dimissionario presidente del municipio di Ostia, ora agli arresti, Andrea Tassone, anche egli esponente del Pd.

Nomi non certo di secondo piano nel mondo politico capitolino, che tuttavia non sembrano bastare a Marino per cambiare la sua linea di difesa, a oltranza e a testa bassa. Poco importa poi se non si ha menzione di interventi diretti del sindaco su questi personaggi. E questo piccolo passaggio fa luce su un’altra corbelleria bella e buona che dal Campidoglio continua con insistenza a circolare da settimane: “Anche le parole dei criminali nelle intercettazioni, che ho letto con dispiacere, dimostrano come quella criminalità organizzata temesse me e la mia giunta”. A margine del conferimento dalla Lupa Capitolina all’ex presidente del Brasile Lula – colui che, per dovere di cronaca, negò l’estradizione a Cesare Battisti – lo scorso 7 giugno, Marino ribadisce che la sua amministrazione – che fino a pochi giorni prima annoverava i personaggi di cui sopra – è esente dal coinvolgimento con Buzzi, Carminati & Co. Peccato che a smentire Marino sia proprio il leader della coop 29 giugno. “La consapevolezza dell’imprenditore Salvatore Buzzi di appartenere a tale sodalizio – si legge nell’ordinanza del Gip Flavia Costantini – caratterizzato dalla possibilità del ricorso al metodo mafioso, lo induceva evidentemente a manifestare – ai suoi collaboratori Michele Nacamulli, Emanuela Bugitti e Claudio Bolla, con i quali discuteva delle richieste di dimissioni avanzate nei confronti del sindaco Ignazio Marino – la certezza di poter accaparrarsi gare e finanziamenti pubblici ‘noi comunque … ti dico una cosa … lui (Marino ndr) se resta sindaco altri tre anni e mezzo, con il mio amico capogruppo ci mangiamo Roma’”.

Parole che devono ovviamente trovare conferma giudiziaria ma che, oltre a introdurre la figura di un “amico capogruppo” non meglio identificata, getta comunque un alone antipatico che qualche dichiarazione stampa difficilmente può oscurare.

Parole che non cancellano nemmeno la balla – figuraccia di Marino che smentisce di aver mai visto o conosciuto Buzzi, quando poi ecco sbucare foto dei due insieme o, ancor di più, i video di Marino in campagna elettorale che annuncia di voler devolvere “il primo stipendio da sindaco di giugno 2013 in obbligazioni della ‘cooperativa 29 giugno’. Bisogna ricostruire – si sente nitidamente in un video raccolto da Meridiana Notizie – la comunità nella nostra città partendo dalle persone che sono rimaste indietro”.

Il morbo del ‘riscriviamo la realtà come più fa comodo’, però, non ha colpito solo Marino. Il commissario del Pd romano Matteo Orfini, a più riprese e per difendere un sindaco sempre più solo e sempre più in mezzo alla tempesta soprattutto dopo le bordate del premier Renzi dalle colonne de La Stampa, ha deciso di intendere parole poco equivocabili come “se torna Renzi 1, fossi in Marino non starei tranquillo” come una esortazione: “Quella dichiarazione – ha affermato – l’ho letta come uno stimolo a fare di più nell’amministrazione della città”.

Interpretazione forzata e forzosa, tanto che lo stesso Orfini è tornato sopra la questione liquidando la battuta del premier come sbrigativa, e esortando Marino a fare di più.

In tempi non sospetti, tanto sarebbe bastato per far cadere un sindaco in carica e tornare, nella migliore delle ipotesi, al voto. Il problema reale è squisitamente politico: Renzi deve fare i conti con i risultati delle regionali, che hanno portato il Pd a incassare due milioni di voti in meno rispetto alle europee. Il commissariamento di Roma, o peggio lo scioglimento per mafia, non solo sarebbe una devastante pubblicità mondiale per tutto il Paese, ma sarebbe probabilmente la pietra tombale per l’ascesa del fenomeno fiorentino: quale credibilità avrebbe, un domani, qualora si perda la Capitale governata dalla sinistra per una inchiesta per mafia che coinvolge tanti nomi della destra romana, ma anche tanti, tantissimi nomi di esponenti di sinistra?

Poco contano le riscritture di comodo dei professionisti del Pd: i risultati di un ipotetico voto con ogni probabilità sarebbero impietosi e perdere Roma così sarebbe un tonfo che non si recupererebbe con tanta facilità.

A questo scenario, più che plausibile, vanno ad aggiungersi gli ultimi rilievi del governo, nell’anno in cui la città deve affrontare il Giubileo: da una parte la bastonata del Mef, che per il salario accessorio rimodulato dall’ex sindaco Alemanno potrebbe richiedere una cifra erogata tra 2008 e 2013 di circa 350 milioni di euro; dall’altra quella del Cdm che la prossima settimana dovrebbe decidere sui poteri di chi materialmente gestirà l’organizzazione del Giubileo. L’ipotesi di mettere in mano al prefetto Gabrielli la gestione dei 500 milioni di euro di fondi sarebbe un commissariamento di fatto di Marino e della sua amministrazione.

E mentre questo ennesimo dramma si andava consumando, il chirurgo dem tornava all’attacco con i suoi desiderata: “resto fino al 2023, non cambio idea”.

Fatto sta che, ad oggi, Marino è circondato. Da una parte il Pd che gli chiede, sempre per bocca di Renzi di “guardarsi allo specchio, oltre che onesti bisogna essere capaci”, dall’altra i romani, la cui insoddisfazione cresce sistematicamente dal suo arrivo in Campidoglio. Perché oltre questa ultima, imbarazzante inchiesta, Roma è innegabilmente sporca, insicura, priva di manutenzione, allagata appena inizia a piovere, costantemente intasata dal traffico. E cara, carissima quanto a tariffe, tasse, imposte. Soprattutto, Roma è priva di prospettiva, priva di ipotesi di crescita. Una città, forse non per colpa di Marino,che ha perso il volto della città di ‘vacanze romane’ e de ‘la dolce vita’. È certo, però, che Marino non ha fatto nulla per restituirlo.

Orfini, arrivando in Campidoglio, ha dichiarato: “nel 2018 i cittadini giudicheranno tra chi ha posizioni strumentali e chi davvero sta lavorando nell’interesse degli abitanti di questa città”. La verità, ad oggi, è che Marino non andrà a casa per mano del Pd, ma per quella, avvelenata, dei cittadini che non ne possono più di prese in giro coperte, ancor peggio, da una fastidiosissima spocchia faziosa.

R.V.

ULTIMI ARTICOLI