Il capo dei capi del traffico di esseri umani ha un nome. Si chiama Ermias Ghermay, è etiope e secondo gli inquirenti è la mente dietro i viaggi dei disperati attraverso il deserto libico e il canale di Sicilia.
Lo rivela un reportage di Alex Crawford, una delle firme di punta dell’edizione inglese di Sky News: è stata lei la prima giornalista a entrare a Tripoli dopo la caduta di Gheddafi, nel 2011.
Ghermay non è sconosciuto alle autorità italiane: il suo nome è comparso nell’inchiesta sulla strage di Lampedusa del 3 ottobre 2013, quando morirono 366 persone.
Secondo Crawford, il magistrato Geri Ferrara, componente della Dia di Palermo e del pool antiscafisti, avrebbe indagato su di lui per un anno e mezzo, partendo da uno scafista identificato dai superstiti, impiegando tecniche messe a punto dall’Antimafia e un esercito di interpreti che avrebbero tradotto dall’arabo trentamila conversazioni intercettate.
Ermias Ghermay sarebbe al vertice di un’organizzazione criminale che gestisce gli spostamenti dei migranti dai loro Paesi d’origine fino in Europa. La cellula italiana, che faceva capo al suo omonimo Asghedom Ghermay, organizzava il trasferimento in vari Paesi dell’Europa settentrionale di migranti reclutati all’uscita, o forse direttamente all’interno, dei CIE.
Per arrivare in Scandinavia dal Corno d’Africa, il tariffario dell’organizzazione prevede che ognuno paghi fino a cinquemila euro. Moltiplicandoli per il numero dei profughi che passano per le sue mani ogni anno, anche qui nell’ordine di grandezze delle migliaia, si calcola che il traffico degli esseri umani frutti a Ermias Ghermay e ai suoi soci diversi milioni di euro.
La voce del boss, sostiene Ferrara, è registrata in una conversazione che proverebbe il suo coinvolgimento nella strage di Lampedusa. Al telefono con un suo luogotenente sudanese, Ghermay discute con disinvoltura del danno d’immagine che il naufragio avrebbe arrecato alla sua organizzazione, e incolparne i migranti, che avrebbero voluto prendere il mare nonostante condizioni meteorologiche proibitive.
All’organizzazione è stato inferto un colpo lo scorso aprile, con l’arresto di Asghedon Ghermay e altri quattordici luogotenenti; contro il capo, però, non si è potuto fare nulla di concreto. Gli inquirenti sono convinti che la base delle sue operazioni sia in Libia, dove “al momento non c’e’ alcuna collaborazione da parte delle autorità”. Posizione in linea con quanto sostiene il capo della polizia di Zuwara, il porto libico più vicino a Lampedusa: dice di conoscere l’identità dei trafficanti, ma di non avere i mezzi necessari a prendere qualsiasi provvedimento contro di loro.
L’annuncio arriva il giorno dopo la notizia di una nuova tragedia in mare. Ieri, infatti, è sbarcata ad Augusta la nave tedesca Holstein: fra i 283 migranti che aveva a bordo, ci sono anche gli 88 superstiti di un gruppo partito dalle coste libiche a bordo di tre gommoni, uno dei quali si è rovesciato mercoledì durante i soccorsi.
A perdere la vita sarebbero state circa quaranta persone. Fra l’altro, nelle ultime ore sul numero esatto dei morti è nata una polemica fra gli operatori umanitari e il Procuratore di Siracusa Francesco Paolo Giordano, secondo il quale le vittime del naufragio non sarebbero state più di una dozzina. Man mano che ci si è reso conto che le testimonianze dei superstiti, per quanto frammentarie, erano tutte concordanti, oggi anche il Procuratore ha dovuto rivedere le sue stime.
Nel naufragio sarebbero morti anche i due scafisti del gommone affondato. Altri tre uomini, che manovravano le altre due imbarcazioni, sono stati arrestati.
Anche in questo caso, come il 18 aprile scorso, quando le vittime furono ottocento, a far colare a picco il gommone – che già imbarcava acqua, probabilmente a causa del peso delle persone a bordo – potrebbe essere stata una manovra della nave impegnata nel salvataggio: “Probabilmente non è stata calcolata bene la distanza con la nave mercantile che li ha recuperati”, spiega Giordano.
Si tratta di manovre estremamente impegnative, soprattutto se – come in questo caso – a compierle è un natante civile, e non una nave militare attrezzata per la ricerca e il salvataggio. Oltretutto, se fra i migranti si diffonde il panico, o anche semplicemente se si accalcano tutti dalla stessa parte, i soccorritori possono fare ben poco.
Per questo, il procuratore Giordano ha detto alla stampa di poter escludere responsabilità da parte dell’equipaggio della Holstein, anche se l’apertura di un’inchiesta è un atto dovuto. “Stiamo comunque approfondendo la vicenda – ha precisato – per capire se ci sono altri profili, e poi agiremo di conseguenza”.
Domani a Palermo è previsto lo sbarco di un’altra nave, la norvegese Siem Pilot, che ha a bordo 785 migranti di nazionalità eritrea, sudanese, siriana, etiope e bengalese.
Filippo M. Ragusa
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