Già nei giorni scorsi, la comunità era rimasta senz’acqua e razioni alimentari. Come racconta oggi l’agenzia di stampa Bloomberg, davanti a una delle 12 chiese di Qaraqosh, le persone fanno la fila dalle 6 del mattino fino alla mezzanotte per avere la loro porzione d’acqua quotidiana, al costo di circa 10 dollari.
“La nostra vita ruota intorno all’acqua”, ha raccontato Laith, 28 anni, insegnante. Nonostante gli aiuti garantiti da diverse agenzie umanitarie, le riserve sono limitate, a malapena sufficienti per famiglie numerose in una zona dove le temperature raggiungono i 38 gradi e più. Il vescovo di Baghdad, mons. Saad Syroub, ha commentato con amarezza: “Non era mai accaduto che fossimo cacciati dalle nostre case. Ci servono aiuti internazionali”. Per il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, tagliare l’acqua per costringere i cristiani a lasciare l’Iraq è un “crimine contro l’umanità” .
E’ attesa per oggi la riunione tra i vescovi delle varie confessioni cristiane di Mosul, il patriarca caldeo e i “diplomatici stranieri e politici locali” nel Kurdistan iracheno. L’incontro è finalizzato a “decidere quali passi intraprendere” alla luce delle minacce e delle persecuzioni contro i cristiani iracheni.
La strategia adottata dai jihadisti dello Stato islamico contro i cristiani che hanno trovato uno dei loro ultimi rifugi sicuri a Qaraqosh, storica città cristiana di 50.000 abitanti situata 32 chilometri a sud-est di Mosul, protetta oggi dai combattenti curdi, i peshmerga, è stata quella di lasciarli senz’acqua dopo avergli tolto i rifornimenti di cibo e prima ancora avere segnato le loro porte in rosso. Dunque, o sorte o morte per gli ‘infedeli’ non musulmani che vivono nel Califfato dell’Isis; per loro non c’è che la fuga dal Paese.
“Tutti i cristiani sono scappati da Mosul, la seconda città irachena”, denuncia il patriarca caldeo, Louis Sako. “Le famiglie cristiane sono in fuga verso Dohuk e Arbil”, continua Sako: “Per la prima volta nello storia dell’Iraq Mosul è senza cristiani”.
Nel tentativo di piegare la popolazione di Mosul e delle altre località della fascia settentrionale di Ninive, i miliziani del neonato Stato Islamico e del Levanti (Isis) – creato nell’Est della Siria e nell’Ovest dell’Iraq il 29 giugno – avevano minacciato chiesto ai cristiani di abbandonare la città, creando un esercito di sfollati. Fin dai primi giorni dalla sua nascita, i fedeli di Abu Bakr al-Baghdadi avevano identificato la loro anche come una missione di riconquista della purezza cristiana del territorio, non senza lanciare minacce verso il vicino occidente cristiano.
Anche Roma, considerata come centro della cristianità e quindi degli infedeli, era entrata nel mirino del califfo dello stato islamico. In un audio-messaggio diffuso da siti jihadisti, lo sceicco si appellava ai musulmani perché fossero pronti a nuove battaglie: “Se Iddio vorrà, conquisteremo Roma e il mondo intero“, mentre a inizio luglio il capo jihadista, nel primo messaggio audio dall’autoproclamazione del califfato, aveva puntato il dito contro gli Stati Uniti, minazcciando un attacco “peggione dell’11 settembre”. Una battaglia religiosa che il Califfato sta rivolgendo non soltanto all’esterno dei suoi confini, ma anche all’interno di Siria e Iran, con sempre più pericolosa intensità.
Dal 10 giugno scorso, quando hanno conquistato Mosul, i jihadisti dell’auto-proclamato Califfato Islamico hanno cominciato a fare pressioni su Qaraqosh e sui villaggi vicini bloccando le tubature che collegano le comunità presenti nel nord dell’Iraq al fiume Tigri. In assenza di un numero sufficiente di pozzi profondi capaci di sopperire alla carenza, le autorità locali sono state costrette a far arrivare l’acqua dal Kurdistan, a caro prezzo. Nè va meglio sul fronte del carburante, il cui prezzo è lievitato dopo la conquista delle principali raffinerie da parte dei jihadisti.
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